<Life detector> quale capacità mentale dei pesci?
L’espressione <life detector> indica quel processo mentale che riconosce un corpo fisico animato da un oggetto inanimato.
Life detector è un riconoscimento fondamentale nella caccia, sia per il predatore, sia per la preda: scoprire un pesce tra le rocce quando gli iridociti nel derma riflettono le lunghezze d’onda dell’ambiente circostante e i cromatofori colorano la livrea con gli stessi colori del fondo, in molte situazioni è una vera impresa anche per un occhio evoluto come quello umano. Così come lo è per il pesce che si avvicina al pescatore immobile sul terreno, disposto nella pesca all'aspetto: scoprire che è un terribile predatore e non una propaggine della roccia, fa la differenza tra la vita e la morte!
Nell'ambiente marino, il cervello degli animali che lo abitano divide gli oggetti che appaiono nel loro quadro visivo in quattro categorie: cibo, predatore, partner sessuale, o cose senza vita. Nell'elaborazione dell’impianto neurologico molto semplice dei pesci non c'è spazio per la contemplazione o altre tipologie mentali (ammetto l’ipotesi che il pesce abbia dei processi mentali semplici): nelle decine o centinaia di oggetti che circondano il pesce, sia sul fondo o più in alto nella colonna d’acqua, tutto ciò che esula dalle prime tre categorie, è semplicemente ignorato! In pratica il cervello del pesce non spreca energia per catalogare tutte le cose che lo circondano, il meccanismo <life detector> semplicemente cancella o meglio ignora ciò che è senza vita. Una volta sono stato per decine di minuti a osservare due saraghi fasciati di pochi centimetri di lunghezza intenti a confrontarsi in maniera aggressiva (non so per quale ragione) completamente allo scoperto, semplicemente immobile, affacciato sopra una roccia: troppo grande perché appaia nella categoria di un loro predatore (nessuno della mia mole è interessato a pesci di pochi grammi). Quando arriveranno a cinquecento grammi, non resteranno certo nelle mie vicinanze per risolvere probabili questioni di gerarchia (da adulto il sarago fasciato, sparide gregario, saprà già qual è il suo posto nel branco. Il processo <life detector> evolve nel corso della vita del pesce completandosi con le esperienze di vita vissuta e quando un corpo scuro con due lunghe estremità pinnate che ha terminato la vita di molti conspecifici apparirà nei dintorni provocherà la fuga immediata. E’ banale osservare come questi sparidi <sappiano> qual è la taglia oltre la quale essi corrono dei pericoli ad avvicinarsi al pescatore: quando sono troppo piccoli, ci ignorano, da sub - adulti hanno già capito che siamo forme viventi e si avvicinano a studiarci con il loro occhio dominante, mentre da adulti si terranno a debita distanza soprattutto se avremo in pugno un attrezzo stretto e lungo.
Le miriadi di soluzioni nel mimetismo criptico adottato dalle specie ittiche (molto più frequenti che nella fauna della terra ferma) dimostra lo sforzo evolutivo di queste forme di vita nell'ingannare il meccanismo cerebrale <life detector> di chi le osserva.
In mare, invertebrati, pesci e crostacei, tutti cercano di rientrare nella categoria degli oggetti inanimati, o almeno di ritardare la percezione nella preda o nel predatore che l’oggetto osservato <è vivo>. Fino alla soluzione estrema di fingersi morti.
Nota autobiografica:
Diversi anni fa, avendo avvistato dalla superficie un’orata che nuotava a mezz'acqua, non avendo strategie di cattura in campo aperto, ho aspettato che passasse sotto la mia verticale per immergermi in maniera disordinata allargando le braccia e indirizzare la fuga del pesce contro un pinnacolo che si ergeva dal fondo. Questo finto inseguimento si è protratto per diversi secondi e ha evidenziato l’esitazione dell’orata nel prendere una decisione: il mio intento era di spaventarla fino a convincerla a rifugiarsi in una delle numerose spaccature della roccia poste alla base della secca (in questo caso ho simulato di essere un pericoloso e veloce predatore, come un pelagico). Purtroppo il pesce dopo qualche scantonamento tra gli anfratti del fondo, è sparito alla mia vista e sono subito riemerso in debito d’ossigeno dopo il lungo inseguimento. In verità avevo improvvisato un’azione venatoria con poche possibilità di riuscita e non ero neppure troppo deluso dell’insuccesso. Ripreso fiato, mi sono spostato secondo un itinerario seguito molte altre volte in quella zona e che prevedeva l’attraversamento della prateria di posidonia tra il sommo dov'eraavvenuto ’incontro con l’orata, verso un altro pinnacolo a poche decine di metri di distanza. Sulla posidonia di solito accelero il mio nuoto perché, a parte la corvina, questo biotopo non offre rifugio ad altri pesci d’interesse venatorio per il pescatore subacqueo. Dopo una decina di metri una specchiata proveniente dal fondo ha richiamato la mia attenzione: un pesce adagiato sul fianco tra le foglie di posidonia aveva riflesso i raggi del sole provenienti dalla superficie, sembrava proprio l’orata che avevo appena inseguito! Ho vagliato in pochi secondi diverse ipotesi prima di scegliere di dirigermi verso il pesce apparentemente senza vita: <che sia morto dallo spavento procurato dal mio inseguimento!>, o <è un altro pesce rimasto preso all'amo di un palamito non ancora individuato sul fondo>, o <è un pesce trafitto e disarpionato da un altro pescatore subacqueo che sta battendo la mia stessa zona>. Più mi avvicinavo in immersione al pesce (si muoveva sdraiato passivamente tra le foglie, sull'azione delle onde e della risacca), più mi appariva senza vita e pensavo già di controllare lo stato delle branchie per capire da quanto tempo era morto. Avevo scartato in partenza l’ipotesi di colpirlo con una fucilata col rischio di piantare l’asta nella posidonia e non riuscire più a disincagliarla dai rizomi della pianta acquatica. La livrea era quella classica <post mortem> senza il caratteristico <pigiama> a strisce che adottano gli sparidi quando s’immobilizzano sul fondo contro qualche ostacolo per scomparire alla vista del predatore. Non ho fatto in tempo a toccarla che con una scodata l’orata si è dileguata verso il largo, lasciandomi con un palmo di naso!
<Fingersi morti> è l’ultima scelta di fronte all'estremo pericolo anche per molti animali della terra ferma, evidentemente questo riflesso ha origini evolutive molto antiche. Stupisce che questo schema di comportamento abbia provocato nell'orata la livrea completamente argentea del pesce senza vita, mentre l’immobilità dell’orata in posizione verticale (altra soluzione di mimetismo criptico) al contrario attiva il classico <pigiama> a strisce (vedi foto sotto). Con la morte del pesce gli strati dei cromatofori si rilassano evidenziando quello più esterno completamente argenteo.
Dialogando con un pescatore a fiocina con la lampara del singolare comportamento dell’orata citata nel mio racconto, ho appreso: se il pescatore sul gozzo a remi con la luce a prua, per inerzia, passa oltre l’orata avvistata inizialmente appoggiata sul fondo in posizione verticale, tornato indietro, la ritrova sempre adagiata sul fondo, posta sul fianco (l’orata è un pesce diurno che di notte riposa ma disposta sempre in verticale). L’interpretazione può essere, come nel mio caso, che il pesce associ all'ombra scura che di notte gli passa sopra (il gozzo) quella di un grosso predatore e si finga morta come estremo rimedio per scampare al pericolo. Questa è una conferma di un comportamento difensivo insolito dell’orata, per mia esperienza, non condiviso da nessun altro sparide.
L’evoluzione di una livrea mimetica variabile da adottare ad hoc, (gli animali della terra ferma, al contrario, hanno un mantello <statico>), rende evidente le difficoltà mentali dei pesci rispetto alle capacità <life detector>.
L’orata del mio racconto aveva diverse possibilità per sfuggire alle mie insidie (soluzioni verificate in altre battute di pesca):
1) Rifugiarsi in una tana alla base del sommo roccioso.
2) Allontanarsi verso il largo (deep water refugia).
3) Scantonare tra un ostacolo e l’altro, in qualunque direzione, fino ad allontanarsi dal pericolo.
I tre schemi sopraelencati erano quelli più probabili, mentre da un punto di vista statistico, il terzo è stato quello che osservato più di frequente nel comportamento dell’orata, dopo 65.000 ore di pesca subacquea era la prima volta che assistevo allo schema della simulazione dello stato senza vita. Ammesso che uno schema di comportamento, una volta innescato, abbia sequenze automatiche completamente inconsce, tuttavia, il pesce sceglie coscientemente quale schema di comportamento adottare, vaglia le possibilità di successo di ogni schema.
Approfondendo l’evento, è evidente che il mio inseguimento a mezz'acqua ha fatto scattare l’associazione dell’aggressione da parte di un grosso predatore, che in termini di velocità del nuoto supera le punte massime che possono essere raggiunte dall'orata. Questo limite è nella memoria genetica dei pesci preda, per cui non si cimentano neppure in una fuga in campo aperto. Il fatto che sia riemerso per respirare esattamente come fa un delfino o altro mammifero subacqueo, e in seguito io abbia nuotato velocemente nella stessa direzione dove si era allontanata l’orata, ha innescato lo schema estremo di fingere lo stato senza vita. Anche di recente ho inseguito delle orate che avendo la via di fuga verso il largo, chiusa da un tramaglio, si sono fermate: chi contro un ciuffo di posidonia, chi sotto una roccia sporgente, tutte adottando la livrea mimetica a strisce, in questo caso nessuna ha finto di essere morta!
E’ una mia ipotesi: alcuni riflessi comportamentali sono tipici dello stadio giovanile dei pesci, in seguito, nello stadio adulto questi sono abbandonati pur restando nella memoria dell’individuo. Aiutando il regista operatore subacqueo Pisciottu a girare il suo video < Le notti del subacqueo> nel parco di Lavezzi al sud della Corsica, ho assistito ad alcuni di questi comportamenti: l’<insabbiamento> e la <morte simulata>, adottati sia da giovani saraghi, sia da piccole orate, addirittura da piccoli dentici. Le riprese notturne avvenivano alla luce di un faro subacqueo molto potente che abbagliava i pesci diurni svegliandoli dal loro riposo: la reazione di qualche pesce è stata quella di immobilizzarsi sdraiandosi sulla sabbia con una livrea completamente argentea (alcuni li ho toccati con le dita sollevandoli dalla sabbia sulla quale si erano adagiati, dimostrando di non reagire neppure al tatto), altri invece si sono appoggiati sul fianco e spingendo con energici colpi di coda si sono completamente insabbiati. Queste strategie difensive hanno efficacia quando il pesce è di piccole dimensioni e non è in grado di raggiungere grandi velocità di fuga per le ridotte masse muscolari, da adulto, il pesce adotterà altri meccanismi di difesa. L’abilità cognitiva dei pesci si evince dalle scelte difensive proporzionate alle situazioni nelle quali si trovano. Si tratta di scelte coscienti!
Il movimento biologico
Il pescatore finge di essere un oggetto inanimato quando si dispone immobile sul terreno e attende che qualche pesce si avvicini per un controllo delle vibrazioni emesse dal suo corpo. L’inganno spesso riesce altre volte no, dipende dall'abilitàdel pescatore!Quindi il pesce <non passa di lì per caso> ma è attratto da uno stimolo sonoro (il pulsare ritmico della nostra pompa cardiaca), sistema attrattivo simile a quello del pesce predato dalla rana pescatrice che usa la sua appendice mobile agitata davanti alla bocca. La situazione è diversa nel caso del pesce insidiato dallo scorfano, predatore che si pone immobile in un punto di passaggio obbligato tra le rocce del fondo, il pesce che cade vittima di quest’agguato si trova lì per caso e non si accorge del pericolo perché lo scorfano ha adottato un mimetismo criptico molto efficace.
Le possibilità percettive della funzione life detector, mentre hanno poca efficacia sui pesci che adottano il mimetismo criptico e stanno perfettamente immobili (avendo evoluto un mantello che scompone l’immagine del loro corpo rendendola simile come forma e come colore al fondo o all'ambiente circostante), invece, sono molto efficaci su tutto ciò che si muove sia in orizzontale sia in verticale.
Nel movimento verticale i pesci non si preoccupano se la velocità di spostamento della massa è bassa e vicina a quella di gravità: “Nel cervello dei vertebrati l’assunzione di gravità sembra essere stata scritta nell'evoluzione biologica e non richiedere apprendimento alcuno” (Vallortigara “ La mente che scodinzola”). Gli oggetti che cadono in verticale non allertano i pesci che tuttavia li vanno a controllare una volta atterrati sul fondo. Non è un caso che una tecnica di pesca subacquea molto efficace sia detta <di caduta a foglia morta>.
Non si sa ancora in quale parte del cervello risieda e sia gestita la funzione life detector. L’aspetto che interessa il pescatore subacqueo riguarda la velocità nel suo nuoto, se è sotto a un certo valore, non è considerata un avvicinamento aggressivo e pericoloso: lo sviluppo di questa sensibilità nel pescatore è parte del suo successo venatorio. Ho già descritto nei miei video i concetti di <velocità non aggressiva> e di <movimento mimetico> al quale devo il successo venatorio di tante mie azioni di pesca all'agguato: nel mondo subacqueo, per essere ignorati, i corpi devono muoversi mimando gli spostamenti delle alghe o delle cose che galleggiano nella colonna d’acqua. In un documentario ho assistito alla cattura di una cavalletta da parte di un camaleonte che avanzando su un ramo verso la preda faceva un passo avanti e uno indietro per mimare il movimento di una foglia mossa dal vento. Questo comportamento deve essere assunto anche dal pescatore, ad esempio, scomparendo dietro una roccia come se il suo corpo fosse spostato dalla risacca, o senza compiere un avvicinamento diretto alla preda, ma mostrando disinteresse con un tragitto subacqueo di allontanamento.
I limiti nell'interpretazione visiva dei pesci rendono opportuna la scelta di un’attrezzatura mimetica per il pescatore subacqueo ma attenzione: la livrea criptica cui faccio riferimento ha efficacia sui corpi immobili, il subacqueo che nuota non trae nessun vantaggio dall'avere ad esempio una muta mimetica, tranne nel caso la sua velocità di spostamento sia inferiore alla <velocità non aggressiva>, quella che innesca il riconoscimento del ruolo di predatore.