Premessa
I ragazzi selvaggi sono fanciulli che riemergono nella società umana da esperienze di isolamento culturale, sopravvissuti nel completo abbandono dai propri simili, a volte allevati da animali con i quali sono entrati in legami sociali e affettivi .
Mi è interessato studiare attraverso l'approfondimento delle esperienze dei bambini selvaggi, alcuni aspetti della comunicazione con le altre specie, approfondire la struttura della comunicazione interspecifica.
“Sussurrare ai cavalli” , “Ballare coi lupi” implica una comprensione profonda del comportamento animale cui ci si rapporta.
Si stabilisce un “contatto” con una specie diversa.
E' possibile ?
Con gli animali domestici ciò è evidente per chi ha fatto l'esperienza di vivere con un animale domestico, ma con i selvatici?
Nel mio trattato sulla cultura del dentice ho introdotto l'argomento della cultura degli altri animali, ora mi pongo il problema della comunicazione interspecifica fra diverse culture animali, senza alcun risvolto animalista, perché ritengo che da sempre, gli animali siano il nostro cibo, come lo sono per altri animali e come le piante sono il cibo per gli erbivori, senza nessuna ipocrisia e alcun “buonismo”.
Mangiare un animale non vuol dire odiarlo, conoscerne la cultura e cercare di capire la sua forma di comunicazione, però è il primo passo per rispettarlo.
I bambini selvaggi
Nessuno dei bambini selvaggi, ritrovati e studiati, è mai riuscito a integrarsi a pieno titolo nella società umana, per la quasi totalità, non sono riusciti neppure ad imparare a parlare, dimostrando che l'apprendimento del linguaggio e del comportamento umano sono il risultato di una “socializzazione” in ambiente umano fin dai primi anni di vita.
Dopo il loro ritrovamento la maggior parte dei bambini allevati da altri animali hanno vissuto poco, non diventando mai veri adulti umani.
Ogni tentativo di rieducazione non ha mai avuto un successo pieno.
Questi soggetti hanno imparato i metodi di sopravvivenza degli animali che li hanno adottati, integrandosi perfettamente anche a livello gerarchico, a dimostrazione, in questi casi, della continuità culturale nel mondo animale che non interrompe i processi di apprendimento tra, e tramite specie diverse.
La base biologica di questa continuità è nella struttura del cervello: questa si è evoluta da una stessa matrice primordiale rispondendo ad esigenze ambientali diverse per ogni specie, ma sviluppando strutture simili, sistemi neurologici simili per l'interazione con il mondo circostante.
I neuroni specchio trovati nei cervelli dei vertebrati superiori sono la chiave più diretta per questa spiegazione: si attivano quando il soggetto segue il movimento e l'azione di altri soggetti e sono alla base del processo di imitazione, si forma nel cervello una “copia” motoria di ciò che è stato osservato. La scoperta di questi neuroni avvenuta ad opera di Giacomo Rizzolatti e della su equipe di Parma ha aperto un campo di studio enorme nelle neuroscienze
E’ molto probabile che dal sistema dei neuroni specchio nel corso dell’evoluzione sia originato il substrato neuronale necessario per la comparsa delle prime forme di comunicazione tra gli individui che ha portato infine allo sviluppo del linguaggio. In particolare le origini del linguaggio andrebbero ricercate, prima ancora che nelle forme di espressione vocale, nell’evoluzione di un sistema di comunicazione intenzionale attuato attraverso i gesti: prima della bocca sarebbe stata la mano a ’parlare’ e la via di apprendimento sarebbe stata quella imitativa controllata da neuroni specchio specifici denominati eco.
La mente animale
Non posso affrontare l'argomento della comunicazione interspecifica senza introdurre alcuni concetti e alcune conclusioni dell'etologia cognitiva, ovvero, della scienza che analizza i processi cognitivi negli animali non umani, approfondendo un caso particolare che mi interessa: quello dei pesci.
Molti studiosi del comportamento distinguono lo stato di coscienza percettiva da quella della coscienza riflessiva, tipicamente umana, che prevede una sorta di introspezione.
Indagare su quale tipo di coscienza possa contare un animale è un campo non ancora sondato e di difficile interpretazione soprattutto per i pesci.
Gli scienziati che studiano il comportamento animale, gli etologi, non usano mai termini come <pensare>, le esperienze mentali degli animali sono inaccessibili all'indagine scientifica, ma a mio parere si possono dedurre dal loro comportamento e quanto più si vive con gli animali che vogliamo studiare, tanto più ci si convince di scorgere un pensiero e motivazioni coscienti dietro le loro azioni ( non credo si tratti di un semplice processo di antropizzazione della condotta dell'animale selvatico).
Per quanto ho avuto modo di osservare, il pesce elabora le informazioni ricevute dai suoi organi sensoriali le confronta con quelle contenute nei banchi memoria e determina il suo comportamento di conseguenza. Tutto ciò interagisce con i suoi istinti in maniera cosciente, nel senso che se l'istinto è di un controllo territoriale, ma le esperienze passate lo portano a ricordare (in associazione ad un rumore particolare) un evento drammatico, ad esempio di un compagno di branco catturato, alla fine, corregge il comportamento istintivo in un comportamento cosciente di fuga, inibendo quello che è sempre stato il suo comportamento istintivo .
La sfida dell'etologia cognitiva è stabilire i limiti del pensiero cosciente degli animali, che senza dubbio sarà un processo mentale assai diverso da quello dell'esperienza della mente umana.
L'uomo è consapevole solo di una minima parte di ciò che avviene nel suo cervello, la maggior parte delle sue funzioni cerebrali si sviluppano inconsapevolmente, solo per fare un esempio: parlo e nello stesso tempo gesticolo inconsapevolmente.
La parte dell'attività cerebrale che è cosciente, però, è quella che ci rende “umani”.
Quale e quanta parte nella mente animale è cosciente non è dato sapere, i pensieri e i sentimenti che gli animali provano per molti versi saranno diversi dai nostri, forse più semplici, ma non saranno così lontani dalle nostre risposte mentali più elementari.
L'amore per la prole è un sentimento istintivo condiviso tra noi e gli animali, in alcuni casi si è dimostrato addirittura più forte e radicato in certi selvatici. Alcuni riflessi istintivi sono gli stessi: fingersi morti di fronte ad un pericolo estremo, defecare dalla paura, acquattarsi se qualcosa passa sopra la testa.
Le strategie predatorie nei carnivori sono complesse e articolate e variano in rapporto al comportamento delle prede, osservandole ne intuiamo tutti i passaggi logici, immedesimandoci nella caccia, nella nostra mente si forma il pensiero, lo schema dell'attacco che subisce ogni volta varianti coscienti.
Le somiglianze tra i comportamenti istintivi e coscienti umani e quelli degli animali selvatici abbondano ed è superfluo elencarli.
Tutto fa supporre strutture cerebrali con forti similitudini, peraltro, è stato dimostrato che il funzionamento di neuroni e sinapsi è lo stesso.
Gli animali sociali hanno bisogno di comunicare con i propri simili per sopravvivere, esattamente come noi, e come noi hanno sviluppato una forma di comunicazione intraspecifica la cui struttura non è molto diversa dalla nostra, ancora una volta più semplice ma accessibile a chi ne possiede la chiave.
Nulla fa supporre una grande varietà del pensiero animale come avviene nella nostra specie, esso si articolerà su questioni immediate forse prive di astrazioni, ma per ciò che ho osservato con una correlazione precisa:
Causa > Effetto.
Una sporgenza “stretta e lunga” nella direzione del pesce , lo allerta. Non esiste nulla in natura che può aver allertato, nel lontano passato, una qualunque specie di pesci al punto da sviluppare una memoria genetica di questo pericolo e non è neppure un secolo che l'uomo insidia i pesci proprio con sporgenze “strette e lunghe”.
Il pesce ha appreso il pericolo insito in questa sporgenza nel corso della sua vita, memorizzandolo.
La questione della coscienza animale comunque resta aperta, forse non si riuscirà mai a indagare quanta parte del comportamento animale sia cosciente.
Ho potuto osservare un branco di spigole in riproduzione nel tratto di mare prospiciente a Pinarello in Corsica: dopo la deposizione da parte della femmina e la fecondazione del maschio , le uova, sferule di un millimetro di diametro, erano divorate da un'orata che seguiva il branco dappresso.
Se le spigole fossero state coscienti di ciò che stavano facendo, sarebbero tornate indietro a cacciare l'orata che vanificava il loro sforzo riproduttivo, quindi l' azione riproduttiva nella spigola è un'attività inconscia.
Mentre, ho documentato in un mio video di pesca subacquea il comportamento di un branco di ricciole che dopo la cattura si avvicinano alla compagna di branco arpionata, invece di fuggire di fronte all'evento drammatico, restano alcuni minuti a mulinarle intorno quasi a sostenerla.
Questo comportamento, si può interpretare solo come una attività cosciente.
Nella mente animale come in quella umana, presumibilmente, alcuni comportamenti sono coscienti, mentre altri sono moduli di comportamenti istintivi.
Nello spinarello maschio impegnato nel corteggiamento delle femmine, se si pone vicino una sagoma di legno con la parte inferiore pitturata di rosso, si attiva un riflesso aggressivo chiaramente inconscio: lo spinarello maschio attacca la sagoma! Un pesce che vede molto bene , molto selettivo nella ricerca del cibo, come fa a confondere una sagoma per un conspecifico?
Quante volte appena arrivato sul fondo lo sciarrano (nel periodo dell'accoppiamento) si è precipitato a mordere la punta dell'asta del mio fucile (documentato in un video) .
Sono certo che anche l'esca messa sull'amo non sempre agisce come un richiamo alimentare, ma, a volte, come l'oggetto intruso da mordere per cacciarlo via dall'area colonizzata (reazione istintiva inconscia).
Diversa, ritengo sia la reazione di un predatore sull'esca viva, il richiamo agisce sulla coscienza animale determinando moduli di attacco spesso diversi.
Ma sull'esca artificiale di plastica colorata, difficile da scambiare per commestibile, è evidente che la sola presenza ha attivato una componente istintiva del comportamento del pesce.
Le comunicazioni interspecifiche dei bambini selvaggi
Le decine di casi documentati di bambini allevati da animali selvatici dimostrano la plasticità della mente umana che consente adattamenti culturali imprevedibili.
In natura, si sono verificati anche casi di adozione tra animali di specie diverse, tutto ciò è la manifestazione della continuità nella comunicazione interspecifica delle menti animali.
I giovani individui adottati hanno perso i contatti con la comunità umana per disparati motivi : guerre, rastrellamenti, vivono spesso con altri animali e sorprende che una volta catturati non intendano restare nella nuova realtà sociale, ma tentano di fuggire, felici solo nella loro “disumanità”.
I ragazzi selvaggi allevati da animali evidenziano con quanto successo questi soggetti abbiano assunto caratteristiche mentali e atteggiamenti corporei simili alle specie d'adozione.
Hanno appreso dai loro improvvisati tutori i metodi della sopravvivenza e le regole sociali della comunità adottiva assimilandone la cultura.
I neuroni specchio permettono di creare nella mente del bambino la copia motoria di ciò che vede fare dalla specie animale adottiva e sono la chiave alla base della sua integrazione sociale.
L'apprendimento non passa necessariamente attraverso il linguaggio che sembra separarci nettamente dalle altre specie animali, nel cervello antico, c'è una forma di comunicazione più primitiva “gestuale e corporea”, empatica, che sta alla base dell'apprendimento socioculturale transpecifico.
Questo processo ha il suo inverso: quando un animale è inserito nel contesto sociale antropizzato anch'esso si adatta in maniera sorprendente, nascono gli “animali da compagnia”, animali -simil umani-
Chissà cosa accade nelle loro menti...la comunicazione interspecifica in questo caso è sorprendente.
Questi animali di confine hanno perso le caratteristiche mentali della specie animale di appartenenza, tuttavia il successo evolutivo che ne è conseguito, non giustifica alcun moralismo: se un animale per sopravvivere deve diventare un simil-umano , perché no!
Per contro, se per sopravvivere il bambino selvaggio deve diventare
un animale, perché no!
Aggiungo una nota:
Quando lo scimpanzé Washoe allevata ed educata al linguaggio umano dai coniugi Gardner incontrò per la prima volta un suo simile (in una gabbia), lo definì: <insetto nero>.
Nel processo di acculturazione, lo scimpanzé, col linguaggio aveva appreso anche l'arroganza umana.
Bibliografia :D.R. Griffin “Menti animali”-- sito web: ”Feral Children.com”
“So quel che fai” Rizzolatti