Chi siamo #8
La storia dell’uomo corre parallela a quella degli animali dei quali si ciba, così
ricostruendo la storia della pesca di alcune specie ittiche si può ricavare uno
spaccato del cammino storico e culturale delle popolazioni rivierasche.
La pesca del merluzzo ha accompagnato per mille anni, circa, lo sviluppo di
molti popoli di navigatori, consentendo, fra l’altro, le prime traversate
oceaniche.
La pesca del Merluzzo è un’attività che ha creato grandi ricchezze soprattutto
nei due secoli scorsi e l’illusione dell’uomo di poter ricavare dal mare una
risorsa di proteine inesauribile. Il merluzzo (Gadus morhua) è un pesce dalla
lunga vita (può arrivare a vent’anni).
Il suo habitat si trova tra i 20 e i 1000 metri di profondità.
Comprende dieci famiglie e più di duecento specie
Una femmina adulta può deporre anche più di tre milioni di uova.
La sua carne è bianca in ragione delle fibre muscolari progettate per lo scatto e
sono dal sapore prelibato.
Il merluzzo preferisce vivere e cacciare alla confluenza di correnti calde e
correnti fredde: al largo della costa nord americana dove la corrente del golfo
sfiora il Labrador, tra l’Islanda e le Isole Britanniche e al largo della Scandinavia
e della Russia
E’ onnivoro e voracissimo: mangia tutto quello che si muove e si accresce ad
una velocità strabiliante cibandosi anche di cospecifici più piccoli.
Il merluzzo atlantico si trova al vertice di una piramide alimentare ed è
resistente a parassiti e malattie.
Sembrava progettato per sopravvivere a tutto, almeno, finché nel suo cammino
evolutivo non ha incontrato l’uomo!
Breve storia del Merluzzo e della sua pesca
La prima documentazione relativa alla pesca del merluzzo e alla sua
lavorazione, risale al 900 e precisamente ad opera dei norvegesi che avevano
imparato a conservarlo appendendolo alla fredda aria invernale finché non
avesse perso i quattro quinti del suo peso.
Impianti di essiccazione si trovavano installati in Norvegia e in Islanda e già
allora rifornivano costantemente i mercati dell’Europa settentrionale.
Il merluzzo essiccato era servito ai Vichinghi per nutrire i componenti delle
cinque spedizioni nell’America del nord che si erano susseguite tra il 985 e il
1011 ed avevano portato alla scoperta della Groenlandia e di Terranova.
Quasi contemporaneamente il popolo basco aveva trovato un altro sistema per
la conservazione, salando il pesce prima dell’essiccazione, con il vantaggio di
allungarne la durata dello stoccaggio.
Il merluzzo si presta a questo procedimento perché è un pesce quasi senza
grasso e una volta salato e ben essiccato, difficilmente si deteriora.
Nel Medioevo il problema del cibo che si guastava era una calamità che
limitava i commerci e soprattutto i lunghi viaggi per mare.
Non è un caso che i baschi siano stati i primi insieme ai vichinghi a traversare
l’oceano atlantico e, probabilmente, anche i primi a scoprire le coste
dell’America dove essiccare i merluzzi pescati nei ricchi banchi di fronte a
Terranova.
Il segreto dei pescatori baschi e norvegesi è durato quasi 500 anni !
Al ritorno dal suo viaggio alla ricerca del passaggio per le indie (mancato da
Colombo) Giovanni Caboto, partito nel 1497 dal porto di Bristol su
commissione di Enrico VII di Inghilterra, riferì di aver avvistato, dopo 35 giorni
di navigazione, una terra (che non era l’Asia) il cui mare pullulava di pesci che
si potevano prendere senza reti, calando semplicemente dei cesti sul fondo,
appesantiti con una pietra.
I resoconti di pesca dei viaggi successivi verso il nord America confermarono
l’esistenza di questi sterminati branchi di Merluzzi.
Ancora dopo 400 anni di pesca, nel 1895, i pescatori inglesi documentarono la
cattura di un Merluzzo lungo un metro e ottanta centimetri del peso di 92 chili,
catturato davanti alle coste del Massachussets.
Agli inizi del 1500 anche i portoghesi iniziarono ad esplorare le coste del nord
America e la corsa alla pesca del Merluzzo assunse le stesse caratteristiche
della corsa all’oro.
Per ultimi si accodarono i francesi ed il Merluzzo essiccato divenne la proteina
più a buon mercato dell’Europa atlantica, caratterizzandone, con il suo odore
forte, tutti i mercati delle città della costa.
Nonostante l’iniziale scoperta di Caboto, in questa corsa commerciale, gli
inglesi partirono con un certo svantaggio rispetto agli europei del sud, non
potendo disporre di grandi scorte di sale.
Producevano un Merluzzo seccato senza salatura, chiamato stoccafisso (da
stock, bastone in olandese) la cui conservazione era limitata rispetto al baccalà
spagnolo.
La guerra commerciale del Merluzzo si trasformò presto nella guerra del sale e
questo prodotto fu afflitto dalle gabelle più odiose della storia europea.
La rivoluzione francese la abolì solo per quindici anni, poi la ripristinò e durò
fino al 1945!
Le navi europee partivano con le stive ricolme di sale per ritornare cariche di
Merluzzo salato, ed essiccato sulle coste frastagliate del nord America.
Buone scorte di baccalà nella stiva consentirono, infine, i primi veri viaggi di
esplorazione: Terranova, nelle conoscenze del sedicesimo secolo era ancora
una grande isola al largo della Cina!
Invece di trovare il mitico passaggio per le indie, però, i nuovi esploratori
trovarono nuovi banchi di merluzzo e nuove coste dove essiccarli: i mercanti di
Bristol colonizzarono il Maine disegnando le mappe della nuova terra e dei suoi
porti naturali, dando il via ai primi viaggi dei Pellegrini che emigrarono nella
speranza di praticare liberamente la loro religione, vivendo di pesca.
Questi pionieri consumavano il pesce e ne spargevano i resti nei solchi arati
fertilizzando il terreno.
Costruirono sulle rive grandi vasche dove ricavare il sale necessario alla
salatura ed iniziarono i primi rapporti commerciali con i porti europei già famosi
come basi per la pesca atlantica del Merluzzo.
Le navi partivano dal nord America colme di Merluzzo essiccato, per tornare
piene di sale, perché questo prodotto non era mai sufficiente a salare le grandi
quantità di pesce pescato!
Il commercio del merluzzo fece ricche quelle che diventeranno le future
provincie orientali del Canada e del New England meridionale.
Sull’esempio di Colombo e di Caboto, in aprile, col favore del vento di levante,
però, partivano ancora le navi di pescatori dall’Europa: pescavano sui banchi
dell’America settentrionale, dove il Merluzzo pullulava ancora, poi, individuato
un buon posto a riva dove seccare il pesce, si fermavano a disboscare le
foreste di abeti per creare i piani di essiccazione delle “camere del pescato”.
Dopo tutta l’estate di pesca, prima che si formassero i ghiacci, col primo vento
occidentale facevano ritorno a casa.
L’intera economia di Terranova e delle coste del Massachussetts si fondava
sull’arrivo dei pescatori europei e in queste regioni si stabilì presto il culto del
commercio che arricchì gli operatori nel sistema capitalistico del libero
scambio.
Il merluzzo fu innalzato a feticcio, simbolo della ricchezza di una colonia inglese
sempre più autonoma rispetto alla madre patria .
Adam Smith, noto economista anglosassone, citò l’industria della pesca del
New England come esempio per raggiungere il successo in un’economia senza
restrizioni commerciali.
Si erano gettate, però, le basi economiche per la rivoluzione contro la madre
patria.
Dopo tre anni di conflitto, nel 1778, la Corona britannica e le colonie del New
England cercarono di negoziare la pace a Parigi e il punto più controverso
riguardò proprio il diritto di pesca sui Grand Banks, la piattaforma della Nuova
Scozia e il Golfo di San Lorenzo, banchi di fronte alle coste delle colonie
rimaste fedeli all’Inghilterra.
Le leggi internazionali di diritto navale, di quel periodo, intendevano ancora che
il mare non avesse nazionalità, ma dopo duri contrasti nel 1782 la Corona
concesse al New England i diritti di pesca sui Grand Banks.
Il trattato di Parigi fu un grande successo per le colonie del nord America ma
incrinò i rapporti con le colonie del sud, oscuro presagio della futura guerra
civile.
Nonostante il prelievo di merluzzo atlantico sia stato intenso per tutto il
quindicesimo e sedicesimo secolo, vuoi per gli scarsi mezzi navali, che per la
limitata popolazione di quel periodo, si può ritenere che lo sfruttamento
intensivo dei banchi cominciò a partire dal diciassettesimo secolo.
Da allora fino al 1930 circa la pesca del merluzzo è stata praticata sia per gli
americani che per gli europei con lo stesso metodo: una barca appoggio calava
in mare piccole barche a remi lunghe sei metri al massimo, con uno o due
uomini a bordo che ritornavano solo quando avevano riempito di pesce, fino al
bordo, la loro piccola imbarcazione.
Poiché le zone ricche di merluzzo si trovavano alla confluenza di correnti calde
e fredde, queste piccole imbarcazioni operavano sempre nella nebbia più fitta,
con lenze a mano e la storia drammatica per il Merluzzo, la diventò anche per
l’uomo: perdite e scomparse furono all’ordine del giorno.
All’inizio del 1800 ci fu un’evoluzione nella tecnica di pesca e, per primi i
francesi, attrezzarono la loro flottiglia con lenze da posa lunghe anche quattro
o cinque miglia, con un corto braccio munito di amo (“filaccione”) disposto ad
intervalli di un metro lungo la lenza madre. Dei barili calafati, distanziati
regolarmente, indicavano lo svolgimento di questa lenza chiamata “strascico” .
Le piccole imbarcazioni seguivano a remi la linea di strascico, toglievano il
pesce dall‘amo, lo innescavano e lo calavano di nuovo.
Come si seppe di questa tecnica, subito si accesero le polemiche tra le varie
flottiglie , perché sui Banks i pescatori erano troppo numerosi e le varie linee di
posa si intricavano le une con le altre.
Nessuno pensava, allora, che i banchi si sarebbero spopolati perché le catture
miglioravano anno dopo anno, certo non per gli incrementi degli stoks di
merluzzo, ma per una maggior efficienza del sistema di prelievo.
Il diciannovesimo secolo era pervaso dal culto della scienza e della capacità
della natura di autorigenerarsi: alle prime proteste dei pescatori sui danni
prodotti dallo strascico, un noto filosofo della scienza, T. H. Huxley chiamato a
dirigere tre commissioni sulla pesca, rispose che le lagnanze non avevano
fondamento scientifico e che bisognava tendere verso “forme più produttive di
industria” e che “Nonostante le enormi e sempre crescenti quantità di pesce
preso annualmente lungo le coste della Gran Bretagna, i terreni di pesca
inglesi non mostrano segni di esaurimento delle specie”.
Due invenzioni, succedutesi nel tempo misero in crisi questa illusione: il
battello a vapore e il congelamento del pesce: ormai la corsa alla pesca del
merluzzo si giocava sugli investimenti e sulla tecnologia. Potersi muovere per
mare senza farsi trascinare dal vento e salpare gli strumenti da pesca a motore
consentì la realizzazione dello strascico di una rete appena sopra il fondo,
tecnica già impiegata da riva durante la bassa marea col traino dei cavalli.
Questa tecnica faceva registrare un pescato sei volte superiore a quello delle
imbarcazioni a vela.
Verso la fine dell’ottocento gli stock di merluzzo atlantico del Mare del Nord,
mostrarono i primi segni di impoverimento, allora, le flotte si spinsero più
lontano su fondali più profondi e il pesce sbarcato continuò ad aumentare,
spesso, facendo crollare i prezzi. Con l’invenzione della radio i pescherecci in
contatto con i grossisti, a volte, furono costretti a ributtare in mare buona
parte del pescato per mantenere alto il prezzo del merluzzo.
Finché nel 1925 un eccentrico americano inventò la tecnica del congelamento e
non ci fu più limite al prelievo e alla crescita delle dimensioni delle imbarcazioni
che diventarono vere fattorie galleggianti.
Solo la seconda guerra mondiale dette un po’ di respiro (si fa per dire) al
nostro eroe ittico, ma appena terminata, l’altra guerra, quella al merluzzo
riprese sfruttando le nuove tecnologie belliche del sonar, dell’individuazione
aerea dei branchi uscendo così dalla casualità nella cattura.
Conclusioni
Questa storia ha una morale sulla quale, a mio avviso, dovremmo riflettere
tutti, ma in particolare, i politici che propugnano la difesa ambientale.
Il racconto dell’incontro tra il merluzzo e l’uomo pescatore prima, l’uomo
industriale della pesca negli ultimi tempi, mette in evidenza come il pesce più
prolifico ed abbondante mai pescato, sia stato portato alle soglie dell’estinzione
da un prelievo protratto e sconsiderato, e soprattutto di come sia complesso
analizzare e comprendere i complessi fenomeni a catena conseguenti al
prelievo industriale.
La ricerca scientifica, nonostante l’impegno profuso dai biologi, non è ancora
riuscita a valutare tutte le conseguenze della pesca professionale, non riesce a
stabilire, principalmente, se dopo una moratoria nel prelievo (tendenza attuale
dei governi nazionali) certe specie recuperino l’antica diffusione.
Nel prelievo industriale, spesso, non scompare solo una specie, ma si verifica
un collasso collettivo di tutta una fauna che risulta così strettamente legata.
Il fenomeno inizia con inspiegabili assenze in periodi solitamente molto pescosi
in zone notoriamente ricche di pesce, cui succedono buone stagioni che
tranquillizzano la marineria da pesca.
Mille anni di pesca senza limiti hanno dimostrato che quando l’uomo si
allontana dal prelievo con attrezzi individuali per impiegare strumenti collettivi
di raccolta, assumendo una posizione diversa da quella di un naturale
predatore, mette in crisi gli abitanti del mare, perché abbandona le regole che
in natura limitano la predazione e la diffusione delle specie ittiche.
Il culto del profitto si concilia poco o niente con l’equilibrio delle specie sopra e
sotto la superficie del mare.
Non esistono facili soluzioni alla fame di proteine delle popolazioni mondiali e
c’è da chiederci se il modello di sviluppo tanto cercato dagli scienziati ecologisti
di tutto il mondo, non abbia fatto l’errore di trascurare un fattore importante:
l’incremento demografico delle popolazioni umane.
Quasi nessun politico affronta il tema cruciale dell’aumento vertiginoso della
popolazione mondiale, anzi, l’incremento zero è visto da tutti come una iattura.
Impariamo dalla storia del Merluzzo, dove scienziati illustri hanno preso enormi
“cantonate”, forse anche gli attuali eminenti ricercatori hanno imboccato un
vicolo cieco, con le moratorie e i cosi detti fermi biologici.
Dall’esperienza del Merluzzo, a mio parere, è sempre più evidente che l’unico
modello di sviluppo compatibile nel prelievo in mare è l’abbandono della pesca
industriale ed il ritorno al prelievo del selvatico con i mezzi individuali della
piccola pesca.
Il fabbisogno complessivo di pesce può, e deve, essere sostenuto
dall’allevamento in mare, come nazioni all’avanguardia in queste pratiche, quali
la Norvegia, stanno dimostrando da anni.
Le specie ittiche dei mari del mondo sono una risorsa di tutti, soprattutto delle
generazioni future!
Può sembrare un controsenso questa mia posizione dopo aver mostrato come
l’allevamento e l’agricoltura abbiano posto le basi per un degrado generalizzato
del pianeta, ma mi ritengo una persona concreta e pragmatica.
Al punto attuale l’umanità non può tornare indietro alla situazione di dieci
milioni di C/R, ciò non toglie che si debba analizzare correttamente il passato,
valutando obiettivamente gli errori del nostro approccio all’ambiente.
Sappiamo, per esempio che l’allevamento intensivo di specie ittiche in mare,
prima o poi, provocherà l’appiattimento della diversità biologica sulla varietà
delle poche specie allevate che fuggendo e incrociandosi con quelle autoctone
modificheranno i pochi selvatici rimasti.
D’altra parte l’equilibrio è già compromesso da tempo: certi predatori (tonni
spigole dentici) sono sotto la quota naturale da decenni, il pesce azzurro
divoratore di plancton abbonda, in un processo irreversibile.
Tutta la storia naturale dice che il pianeta non torna mai indietro, non si ripete!
Congelare la situazione attuale degli stock ittici, con moratorie e divieti è
irrealizzabile, né abbiamo le capacità per gestire e controllare l’intero processo.
Politiche protezionistiche (parchi e riserve) sono miopi e di corto respiro,
soprattutto per ora non limitano il prelievo professionale.
Se c’è una strada da imboccare questa è quella della riconversione della flotta
da pesca in una rivolta alla pesca/turismo.
Negli USA si è dimostrato che la pesca ricreativa produce più ricchezza della
pesca professionale e non intacca gli stock ittici.
Il diritto di una sola categoria di sfruttare, senza limiti e senza regole, questa
ricchezza è stato ed è un errore fatale.
Il rimedio, oggi, non sta nel porre divieti alla pesca sportiva che ha le sue radici
nella pratica più antica dell’uomo e il cui prelievo è irrilevante, ma nell’abolire
lo sfruttamento industriale di risorse che anche la storia del merluzzo, il pesce
più prolifico ed abbondante del mondo, ha dimostrato essere limitate.
La morale di questa storia è:
Quando si impiegano metodi di prelievo industriali, alla fine non c’è più pesce,
neppure per il pescatore alla ricerca del cibo per il consumo personale.
Oggi si pone il problema se il prelievo di un cacciatore subacqueo e di un
pescatore sportivo, in generale, sia compatibile con lo sviluppo delle risorse del
Mediterraneo.
Dai provvedimenti presi in area nazionale sembra che questa attività debba
essere la prima a dover subire una moratoria: tutte le leggi nazionali sulla
pesca tendono a limitare il prelievo già esiguo del dilettante con cavillose
disposizioni su lunghezze del pesce, quantità giornaliere e specie proibite.
Mentre sui veri responsabili del degrado (in quanto a statistiche FAO sul
pescato) non si vuole intervenire con misure serie: anzi iniziative come il,
cosiddetto, fermo biologico, non producono altro che un finanziamento occulto
ad una categoria in crisi per colpa del suo stesso operato. L’efficacia del “fermo
biologico” è ancora tutta da dimostrare, come è da dimostrare la validità
dell’iniziativa di escludere la pesca subacquea dalle aree protette, mentre la
pesca professionale vi può continuare ad operare indisturbata.
La storia della pesca in mare racconta che:
L’unico prelievo compatibile è quello individuale!
L’unica responsabile dello stato di collasso degli stock ittici del Mediterraneo e
negli altri mari è la pesca professionale! Le responsabilità vengono capovolte,
ad arte, dai politici fortemente condizionati dal serbatoio di voti delle categorie
di pescatori professionisti come dimostrano le cifre: in tutte le indagini della
FAO, la pesca sportiva incide per meno dell’uno per cento del prelievo
complessivo.
Viene spontaneo chiedersi allora il perché di questa miopia politica e che ruolo
stiano svolgendo i biologi marini?
Come per il Merluzzo, nessuna nazione era favorevole a rinunciare al suo
prelievo per non danneggiare la sua economia, così oggi nessun politico
muoverà la prima mossa contro la pesca professionale potente lobby in tutte le
nazioni rivierasche.
E’ più comodo creare falsi obiettivi punire gli “untori” che non hanno
responsabilità e rimandare ad un domani la risoluzione del problema.
Fino a quando gli uomini di cultura e gli scienziati accetteranno questa
ipocrisia?
Questo articolo ha preso come riferimento il libro :
MERLUZZO di Mark Kulansky Oscar Saggi Mondadori