La foca monaca

La foca monaca è ricomparsa ed è stata fotografata da un sub.

Questo fatto di cronaca marina è stato subito sfruttato per una equazione discutibile perché la recente riapparizione dopo tanti anni è avvenuta in un parco marino, quello di Portofino, e l'equazione è che: “le aree marine protette funzionano”, tornano le specie perdute nel tempo a sospetto di estinzione.

E' senza dubbio un colpo di fortuna che va a vantaggio di istituzioni, a mio avviso, inutili quali le AMP (Aree marine protette) e i Parchi marini.

L'effetto empatico provocato sulla gente dalla foca monaca è pari a quella del Panda gigante preso a simbolo del WWF per la difesa delle specie in via d'estinzione, molte delle quali ormai giunte alla fine del loro ciclo biologico ed il Corriere della Sera non si è perso l'occasione di rispolverare un vecchio loro giornalista, Fulco Pratesi,(già presidente del WWF) che negli anni '70 dipinse i pescatori subacquei come “Quei loschi individui vestiti di nero”

Non mi permetto di restituire l'epiteto di losco al povero Pratesi, ma per me , pescatore subacqueo, uomo di cultura che di losco non faccio niente tranne catturare il pesce da mangiare, l'articolo del “Corriere”di oggi è del tutto criticabile, compreso il commento del suddetto giornalista.

L'articolo riporta anche l'intervista al direttore della riserva di Portofino, Fanciulli, che ovviamente difende il suo posto di lavoro (ritornerò su questo aspetto) e vanta l'istituzione di queste aree protette per il ritorno di specie come la foca monaca da anni assente giustificata (massacrata dai pescatori di professione), dichiara :“ ...si può segnalare anche la presenza di una Mabula mabular, una manta chiamata diavolo di mare, due marlin bianchi e diversi barracuda...”

Ora: il diavolo di mare si ciba di plancton e se occasionalmente si è trovato a Portofino era nel posto sbagliato perché il Mediterraneo è notoriamente povero di plancton (per questo le acque sono limpide e cristalline= prive di vita planctonica), sarà difficile che ritrovi il buco dello stretto di Gibilterra e avrà comunque vita difficile. Una volta, sulla secca del diavolo a Capo Testa, dal profondo blu a velocità incredibile mi ha avvicinato mentre ero in superficie questa manta strana dalle grandi ali e dalla bocca come due braccia aperte e protese in avanti, la sorpresa è stata notevole perché non ne avevo mai viste, poi ho pensato alle migliaia di chilometri di reti che avevo intorno e mentalmente le ho augurato buona fortuna.

Anche i marlin bianchi non sono specie autoctone ritornate e i barracuda...non c'è da vantarsene della loro presenza, se sono apparsi per il fenomeno della tropicalizzazione del Mediterraneo, stanno mettendo a repentaglio, come i pesci serra le specie autoctone , ad esempio, le spigole con le quali sono entrati in competizione alimentare.

Insomma, io che come pescatore subacqueo del nostro bacino ho forse il maggior numero di ore di immersione, ho una visione del mare e della sua fauna completamente diversa da quella del direttore Fanciulli che tocca poi un dato dolente dal quale esce con disinvoltura: “ ...Non ho dati scientifici, per ora, ma posso ipotizzare che il ripopolamento del mare dovuto ai divieti di pesca abbia favorito il ritorno della foca...”

Quella della certificazione scientifica degli effetti delle aree protette mette in contrasto la Biologia marina con le altre scienze esatte. Per me che sono un ingegnere una casa sta in piedi se sono soddisfatti i calcoli strutturali e la matematica che li elabora è uguale per tutti, in tutte le parti del mondo, mentre nella biologia marina la matematica resta fuori dalla porta, non solo resta fuori qualunque metodo scientifico, si resta, invece, nel campo delle illazioni medioevali quali il “Principio di Precauzione” che dice “Non sappiamo gli effetti che tal cosa fa , ma per precauzione non facciamola”, insomma sancisce l'ignoranza di una scienza che ha ancora molta strada da fare prima di avvicinarsi al rigore delle scienze esatte.

L'istituzione delle aree protette non è stata mai associata ad un monitoraggio subacqueo secondo i parametri scientifici, per cui nessuno sa cosa sta succedendo della fauna e della flora subacquea ne prima , ne dopo l'istituzione.

Quello che ho potuto constatare, io, losco pescatore subacqueo, da cinquant'anni muto osservatore del degrado del nostro mare è l'impoverimento progressivo degli stocks ittici, accentuato recentemente dalla istituzione delle aree marine protette. Questa dichiarazione farà “starnutire” i biologi marini e gli ambientalisti e per fortuna (loro) sono un emerito sconosciuto e le mie dichiarazioni resteranno nel chiuso del mio sito.

L'aspetto etologico è sempre stato trascurato, a mio parere, dalla biologia marina e i pesci visti come animali inferiori, invece sono intelligenti, scoprono subito dove inizia e finisce un'area protetta e vi si installano svuotando le zone limitrofe. Quello che appare un ripopolamento è solo un reclutamento di tutte le specie che popolavano le zone circostanti.

Il pescatore subacqueo che credeva pescando vicino alle aree protette di “vedere” e catturare più pesce si è sempre ricreduto: non escono da lì!!!

Non è un “polmone” come ci è stato ripetuto più volte che andrà a ripopolare i mari, è uno zoo subacqueo nel quale i pesci sono costretti a vivere confinati (nel loro interesse ovviamente) che non ha alcuna incidenza con il ripopolamento.

Apro una parentesi sul ripopolamento delle specie ittiche.

Se vogliamo incrementare le specie ittiche nel nostro bacino bisogna stabilire dove è alta la loro mortalità.

Molto schematicamente e “ignorantemente”

Stadio avannotti: quando si schiudono le uova dei pesci la cui riproduzione prevede il rilascio di uova fecondate nelle correnti planctoniche (gran parte delle specie di interesse commerciale), sappiamo che la carenza di plancton del nostro mare rende difficile la sopravvivenza e non c'è niente da fare.

Stadio giovanile: l'avannotto che riesce a sopravvivere in qualche maniera deve trovare vicino il fondo, se le correnti lo hanno portato al largo vista la profondità del Tirreno, non ha scampo, se poi trova fondali poco profondi sabbiosi o fangosi, ci pensano le reti a strascico ad alzarne la mortalità. Sappiamo infatti che l'over- fishing in questa forma di prelievo è intorno al 80/90 % del pesce realmente messo in commercio, in questa quota rientrano per la maggior parte stadi giovanili. Un rimedio sarebbe l'abolizione della pesca a strascico, oramai da tutti ritenuta insostenibile, un altro rimedio sarebbero le “barriere artificiali”.

In Giappone l'utilizzazione delle barriere artificiali per favorire il reclutamento di alcune specie è una pratica già usata da tempo (molto interessante è lo studio al riguardo di G. ed M. Relini dell'Università di Genova).

Entrambe queste iniziative restano inattese nel Mediterraneo e al riguardo le aree protette fanno ben poco perché troppo limitate nello spazio.

Stadio adulto: a questo riguardo si deve stabilire con onestà e rigore chi preleva di più a scapito di altri con un principio di equità che pone tutti i cittadini sullo stesso piano di fronte alla legge. Non, ad esempio, che il pescatore di professione può prelevare illimitatamente con tutta una serie di privilegi che ne fa oggi un appartenente ad categoria iper-protetta quando, a mio parere, è la prima responsabile del degrado ittico. Chi preferisce prelevare il pesce che gli necessita con le proprie mani è mal visto nella nostra società che tutela principalmente le professioni e non il diritto dei singoli di avere libero accesso alle risorse ittiche.

Riguardo al ripopolamento c'è molta ipocrisia da parte dei biologi marini e tanti, troppi interessi da difendere, compresi i loro di trovare una buona occupazione in un ente inutile.

Le aree protette hanno alterato artificialmente la distribuzione dei pesci lungo le nostre coste obbligandoli a trovare rifugio in aree particolari, ma oggettivamente nessuno sa se questa iniziativa di zoo subacquei ha un valore scientifico ed è efficace.

Queste zone, in alcuni casi, sono le più isolate e non è un caso che vi sia ricomparsa la foca monaca, ciò non vuol dire che questo mammifero marino possa ricomparire anche in altre zone lontane dalle aree protette. Questo inverno ho avvistato una Caretta caretta a punta Volpe davanti a Porto Rotondo, è una specie in via di estinzione quindi tutelata, non l'ho neppure toccata, ma sarebbe assurdo chiedere di fare punta Volpe area protetta perché come altre zone ha portato all'avvistamento di una specie rara.

Bisogna avere il coraggio di scrivere che se la foca monaca è così rara è per colpa dei pescatori di professione che l'hanno sterminata a fucilate sulla credenza che mangiasse i pesci dalle loro reti.

Bisogna smetterla di manipolare l'informazione come ancora una volta ha fatto Fulco Pratesi nel commento del citato articolo sulla foca monaca: “ ...Così il fatto che a Portofino i subacquei con i fucili siano stati sostituiti dai fotografi ha consentito l'emozionante osservazione [ della foca monaca]”

Questo taglio collega perfidamente la presenza della foca monaca all'assenza dei pescatori subacquei, quando loro nello specifico del mammifero marino non c'entrano niente.

Rilevo molta confusione della stampa sulle aree marine protette e non è il caso solo del Corriere-Pratesi, ma anche del quotidiano Repubblica, che di superficial-ambientalismo è maestra come tutta la sinistra italiana.

Si vendono pochi quotidiani in Italia perché vi si scrivono tante …?!?!