n.41 - Diario di pesca

Diario di Pesca #41
Homo faber
E’ il diario della battuta di pesca più breve di cui abbia scritto il resoconto, ma
le tre catture di oggi hanno confermato il comportamento attuale delle singole
specie catturate e la migliore strategia di caccia corrispondente.
Una breve premessa
La pescata odierna era rivolta principalmente al collaudo della produzione
pilota del Saber 90, ma ogni esperienza in mare se pur breve, quando è
vissuta in maniera creativa, offre spunti di riflessione con la conferma di
credenze che non sono rivolte esclusivamente ai pesci ma anche al nostro
modo di andare sott’acqua , di cacciare, di scegliere l’attrezzatura più
opportuna.
Il mio rapporto con la pesca subacquea ha subito negli anni una evoluzione
soggettiva unica nel suo genere: dal primo modo istintivo di praticare la pesca
subacquea senza conoscerne le motivazioni, all’esperienza di professionista
della pesca a quella di documentarista della caccia subacquea, infine di
costruttore /progettista di attrezzature subacquee.
Tutto ciò mi fa riflettere sulle giustificazioni che mi hanno spinto sott’acqua: in
primis un “imprinting” ereditario trasmessomi direttamente da mio padre, a
cacciare, a procurarmi con le mie mani le proteine nobili per il sostentamento
personale, poi l’esigenza di giustificare, di sostenere la propensione venatoria
della nostra specie, infine l’atteggiamento dell’Homo faber che ci
contraddistingue da tutti gli altri animali, ovvero, quella esigenza di costruire
attrezzi sempre più funzionali, più efficaci, espressione della nostra
intelligenza.
Non voglio però mitizzare questo percorso, ognuno ha le sue motivazioni per
cacciare sott’acqua, credo che per la maggior parte di noi sia una evasione
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dalla vita contro-natura che conduciamo nelle metropoli, un ritorno alle origini
che semplifica la complessità del vivere moderno: “noi e loro”, il nostro cibo, la
primitiva lotta per la sopravvivenza , l’eterno gioco tra predatore e preda.
A mio avviso è questo il fascino della pesca subacquea: trovare anche in una
società tecnologicamente avanzata, un angolo, uno spazio dove la più antica
natura umana può riaffiorare procurando un piacere per molti uomini ormai
estinto.
Si pone la domanda inquietante perché solo noi sentiamo questa attrazione,
questo richiamo ad una vita primitiva dalle pulsioni elementari.
Forse siamo gli ultimi eredi degli Homo sapiens paleolitici, i mutanti stanno
dominando il pianeta: l’evoluzione ha trasformato in recessivi alcuni
condizionamenti fondamentali nell’uomo antico.
La battuta di pesca è proseguita tra le sensazioni di difficoltà di gestione
dell’arma mentre mille supposizioni si alternavano nella mente negli sprazzi di
lucidità razionale durante la ventilazione in superficie.
La prima immersione di fianco al gommone ha portato anche alla prima
cattura: quindici metri di fondo, mentre effettuavo la ventilazione scorgo un
brando di cefali che come un fiume si svolge sul fondo tra una spaccatura e
l’altra. E’ un comportamento gregario noto anche in tempi passati, ma in
verità, non molto frequente: d’abitudine il cefalo frequentava il basso fondo
nuotando in piccoli branchi, mai celando la propria presenza in anfratti tranne
in situazioni di evidente pericolo.
Ultimamente nel nord Sardegna il cefalo di buona taglia (un chilo e più) come
la spigola è diventato raro nel basso fondo e si assiste ad una metamorfosi nel
comportamento di entrambe le specie con peculiarità per ciascuna differente.
Si muove in piccoli o grandi branchi compatti in fondali che presentano grandi
massi con spaccature passanti delineando percorsi di migrazione parzialmente
coperti, riparati, dagli attacchi dei predatori , uomo compreso.
Mentre la spigola è statica di giorno all’interno dell’ampia tana , il cefalo è
sempre in movimento entrambi ad una profondità che può variare dai dieci ai
trenta metri di fondo.
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Ho semplicemente anticipato la zona del terreno dove immaginavo si sarebbe
diretto il branco e mi sono immerso pinneggiando energicamente.
Appena sono entrato nella zona della percezione sensoriale dei pesci il branco
ha accelerato il suo nuoto e, ovviamente in ritardo, sono riuscito ad inseguire
l’ultimo esemplare del branco, scavalcando l’ultimo sperone di roccia che aveva
celato il mio ultimo avvicinamento al branco, ho tirato “di coda” il cefalo dopo
averlo incalzato per qualche metro.
Il cefalo mi è sempre piaciuto cotto nella brace del mio caminetto, disprezzato
dai più per l’abitudine alimentare di filtrare il limo depositato sul fondo , spesso
inquinato soprattutto nei porti, catturato in acque pulite è squisito. Associa alla
carne bianca una carne più scura molto vascolarizzata dal sapore particolare,
un mix di sapori che solo certi lupi di mare sanno apprezzare.
Attenzione, in alcune zone del Mare Nostrum sicuramente il cefalo continuerà
ad avere il comportamento classico che conosciamo molto evidente nel primo
video che ho girato: “L’agguato a cefali e spigole”
C’è da chiedersi, tuttavia, il perché di questo comportamento mutante.
Sicuramente la pressione esercitata dal prelievo umano ha le sue colpe, ma
senza sminuire questa responsabilità (l’uomo da sempre pesca cefali nel basso
fondo, con la canna , il bilancino, le reti, ecc.), a mio parere, l’ultima ragione è
da cercare nell’equilibrio dinamico delle specie ittiche.
La colonizzazione del Mediterraneo da parte di una specie atlantica, il
barracuda ha cambiato la vita tranquilla del cefalo che ha trovato anche un
altro predatore, nell’arrivo più recente del pesce serra.
I barracuda hanno iniziato a comparire una decina di anni fa ed insieme ai
serra ora terrorizzano e colpiscono le specie che abitualmente scorazzavano
tranquille nel basso fondo.
I barracuda che avvistiamo sott’acqua ora sono sempre più grossi (qualcuno si
avvicina ai dieci chili!) e un cefalo di un chilo entra comodamente nella bocca
di questi predatori che lo battono in velocità.
L’unica strategia difensiva è quella di muoversi in branco riducendo
statisticamente le possibilità di incontro con il loro predatore, fossero
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sparpagliati a piccoli gruppi nel basso fondo le probabilità di incontro sarebbero
maggiori. Nel contempo al barracuda non piacciono le tane, gli anfratti dove il
suo corpo lungo e slanciato ha una certa difficoltà a manovrare e realizzare le
sue brucianti accelerazioni.
Il cefalo sempre presente nel carniere del pescatore subacqueo, ora, è
diventato raro e mentre un tempo abbassava il valore del pescatore essendo
una preda facile (“pescatore da cefali” era un epiteto dispregiativo),
attualmente avere un bel cefalo nel carniere o è grande fortuna, o grande
abilità.
E mentre innumerevoli spiegazioni nella mia testa cercavano di giustificare la
“pesantezza” del fucile, a Punta Falcone, estremo corno nord est della
Sardegna, scorgo ancora dalla superficie su 15 metri di fondo, sopra il
“cappello” di una formazione granitica, la sagoma inconfondibile di due corvine.
Sono immobili e se non fosse stato per l’occhio allenato si sarebbero potute
confondere per due oloturie o uno strano spacco scuro nella roccia.
Breve ventilazione, ho cercato una “caduta a foglia morta” ma il piombo della
zavorra era insufficiente e le corvine sono letteralmente schizzate via verso un
gruppo di massi alla base della formazione granitica.
Ci sono rimasto male, abituato ad avvicinare questi pesci senza provocare
alcuna reazione di allarme, me la sono presa con la zavorra impostata per una
pesca più profonda e ho avvicinato senza speranza i massi “rifugio”… sorpresa!
Negli anfratti tranquille nuotavano le compagne di branco.
Ho cercato ripetutamente la coppiola, ma ero nella posizione “dall’alto verso il
basso” e le schiene delle corvine , si sa, da quella posizione sono strette, alla
fine ho preferito una sola preda , ma sicura.
Perché due pesci sul cappello e il resto del branco in tana?
E’ una mia interpretazione: in questa stagione l’inversione termica sta
abbassando la temperatura dell’acqua superficiale tendendo ad uniformarla ad
ogni batimetria , in superficie però il computer da apnea segna 18° C , sul
fondo è a 15/16 ° C. La mattina delle giornate di alta pressione atmosferica, in
questo periodo, l’acqua del mare “fuma”, con lo strano effetto di uno strato di
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nebbia in movimento ascensionale proprio a pelo d’acqua. L’effetto sparisce
appena il sole si alza sull’orizzonte.
Tra il livello della tana e quello della sommità del cappello possono verificarsi
anche tre gradi centigradi di gradiente termico. I pesci sono pecilotermi, la
parolaccia vuol dire, la temperatura del corpo è la stessa dell’ambiente nel
quale sono immersi, il loro metabolismo è in funzione della temperatura del
corpo è chiaro quindi che durante la digestione, ad esempio, cerchino una
fascia d’acqua dove la temperatura è più alta anche se di pochi gradi.
L’immobilità è dovuta alla fase digestiva come nella cernia, altra stratega della
immobilità nella fase digestiva.
La battuta di pesca prosegue ed una nota costante segna le mie osservazioni
subacquee, oltre la pesantezza del fucile: la staticità dei pesci.
Trovo branchi di saraghi fasciati tutti “sottopeso” che si spostano lentamente,
in mezzo qualche sarago maggiore di buona taglia che si allontana senza
fretta.
Assenza totale di un comportamento “territoriale” e in questi casi, si sa, la
tecnica della pesca all’aspetto non vale niente, bisogna muoversi, non restare
fermi sul fondo , il pesce non si avvicinerà mai spontaneamente, bisogna
creare le situazioni di incontro.
E così arriva la terza cattura!
Grande masso appoggiato su dieci metri di fondo, mi immergo molto prima con
l’obiettivo finale di affacciarmi dopo un percorso mimetico, nascosto dal sasso,
sulla parte del terreno che si trovava nel cono d’ombra della percezione
sensoriale dei pesci rispetto alle mie vibrazioni sonore e alla percezione visiva.
Mi affaccio e con un pancione si avvicina un sarago maggiore ( avrà lo stomaco
pieno di ricci). Tutto si risolve con un tiro piazzato di nessuna difficoltà.
Il Saber 90 n° 2 è molto preciso ma con l’asta da 7 mm troppo “pesante”da
gestire nel brandeggio. Domani lo proverò con l’asta da 6.5 mm.
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