n.26 - Diario di pesca - DIARIO DI PESCA CON GIORGIO

Diario di Pesca n°25
Giugno, 02
Le osservazioni riportate in questo resoconto, si riferiscono alla terza settimana
di giugno ‘02 in occasione del mio primo ciclo di stages sulla pesca subacquea,
chiamati “A pesca con Giorgio”.
Introduzione
Chi organizza un corso di pesca che preveda la battuta in mare, spesso, è
messo a dura prova nel reperire le prede indispensabili per la dimostrazione
pratica e per l’esercitazione degli allievi: deve presumere la distribuzione delle
specie ittiche cacciabili lungo le coste, in perenne evoluzione anche nel breve
periodo.
E’ il caso che mi appresto a descrivere in questo diario!
Il pescatore subacqueo quando decide di battere un tratto di litorale, investe
nella scelta di una zona che nel passato ha dato buoni risultati, ma, in effetti,
ignora del tutto la situazione che troverà sotto la superficie, soprattutto se, per
un necessario “riposo” e rotazione delle zone di pesca, per qualche settimana
non ha potuto osservare i cambiamenti dell’ambiente subacqueo e gli
spostamenti dei pesci.
L’esperienza, tuttavia, ha una grande importanza perché gli animali non
cambiano abitudini e comportamento rapidamente, così, in condizioni
meteorologiche simili e negli stessi periodi dell’anno, si possono trovare le
condizioni verificate nelle stagioni precedenti.
Possono crearsi, però, circostanze insolite e particolari come quella descritta
nel diario precedente in occasione dell’eccezionale fioritura di Velella velella ,
avvenimenti sempre interessanti da analizzare anche in chiave strategica.
L’evento.
Passando dall’organizzazione del corso “Settimana Blu”, in barca a
vela, ad una nuova formula più dinamica e adattabile alle condizioni
meteo nella quale ho previsto, come mezzo appoggio, un gommone sul
carrello portabarca, è maturata in me l’idea di mettere a frutto le
conoscenze dei fondali corsi, molto più pescosi di quelli sardi.
Con una gita di due giorni in Corsica ed un trasferimento in macchina col
comodo traghetto che collega Santa Teresa a Bonifacio, nella terza settimana
di giugno ci siamo recati al Sud dell’isola mediterranea per cimentarci con
l’abbondante cacciagione corsa.
Nelle prime lezioni in mare, avevo badato a rifinire l’impostazione generale di
ciascun allievo: assetto (distribuzione della zavorra), schemi d’attacco,
individuazione dei punti topici della costa per l’incontro con le eventuali prede
ed altre categorie da me elaborate nella teoria dell’agguato.
In Corsica, finalmente, potevano applicare gli schemi e le tecniche apprese in
Sardegna con abbondanza di situazioni, l’allievo davanti, fucile carico, con me
alle calcagna a controllare e correggere gli eventuali errori.
Le condizioni meteorologiche del periodo precedente, lo stage e dei due giorni
che abbiamo trascorso nella splendida isola mediterranea sono stati
caratterizzati da un’insolita bonaccia, in una zona, dove al contrario il mare
spesso si presenta mosso.
La temperatura esterna sopra le medie stagionali aveva alzato quella dell’acqua
superficiale nelle piccole insenature della costa sopra i 20 °C, e in alcuni punti
a ridosso dalle correnti, si era formato un termoclino ad appena 50 cm dalla
superficie.
Nell’acqua calda, una fioritura straordinaria di fitoplancton aveva formato uno
strato giallognolo dove era impossibile avere una visione subacquea chiara
oltre i sei – sette metri.
Nelle lezioni teoriche avevo ipotizzato, con il mare calmo, che si dovesse
praticare la pesca all’agguato dalla superficie, in francese e in spagnolo detta
pesca all’indiana con un termine forse più espressivo per questa strategia.
La riassumo brevemente:
Si batte un tratto di costa avanzando strusciando con la spalla contro le rocce,
nell’intento di realizzare il massimo della copertura visiva e sonora nei confronti
del pesce, nello stesso tempo si gira la testa in continuazione per scoprire
l’eventuale preda.
La fase dell’avvistamento in questo schema strategico è importantissima e fa
affidamento sulla migliore acuità visiva del pescatore rispetto a quella del
pesce, notoriamente miope.
Realizzato l’avvistamento del pesce si passa allo schema d’attacco che prevede
un avvicinamento a velocità non aggressiva con un percorso mimetico tra i vari
ostacoli che presenta il fondo, fino a giungere a distanza di tiro, o con la
variante di immobilizzarsi nelle vicinanze del pesce, in modo che percependo le
nostre vibrazioni sia spinto ad un controllo territoriale (sia attirato all’aspetto).
Ci s’immerge unicamente per la cattura e molti tiri possono scoccarsi anche
dalla superficie.
Nella battuta corsa, però, lo strato superficiale d’acqua torbida aveva azzerato
il vantaggio di poter avvistare il pesce da lontano, innescando un fenomeno
frequente in quelle condizioni: il pesce trovandosi nelle acque sporche, non
avendo una visione chiara del circondario alza il livello di guardia dei segnali
acustico- laterali e al minimo rumore si allontana dal basso fondo guadagnando
il largo.
Nella ricognizione, pur procedendo a velocità rallentata, quando nei punti topici
della costa mi affacciavo tenendomi nascosto dietro un riparo, regolarmente,
assistevo alla fuga di tutti i pesci, mentre quelli che erano restati coperti dalle
rocce durante la fase alimentare, appena uscivano dal riparo erano difficili da
individuare perché gli iridociti (cellule riflettenti sotto le squame) riflettevano il
colore giallo delle alghe del substrato sul fondo.
L’abbondanza di pesci, casualmente, consentiva qualche cattura, ma non con la
sistematicità raggiungibile nell’acqua trasparente.
Questa situazione stava penalizzando i carnieri degli allievi, soprattutto
rapportati al numero degli avvistamenti dei pesci messi in fuga.
Molti si chiedevano se stessero commettendo qualche errore ed, in effetti,
stupiva il mio carniere abbondante, contro l’esiguo bottino dei compagni di
pesca.
Differenze d’esperienza e bravura a parte, avevo interpretato la situazione e
approntato una variante che dopo i primi insuccessi, aveva alzato il rendimento
della mia caccia.
Nei punti topici della costa (quelli dove è molto probabile l’incontro con un
pesce) affondavo verticalmente tirandomi giù con la mano sinistra scendendo
nella fascia d’acqua fredda e trasparente, per poi avanzare lentamente,
gattonando con ampie rotazioni della testa fino ad individuare la preda.
Di solito, sconsiglio questa pratica col mare calmo perché è più comodo e meno
rumoroso restare in superficie ad avvistare il pesce, ma le condizioni
ambientali particolari mi avevano obbligato ad una scelta strategica differente
anche se più difficile da applicare.
Nella situazione di mare calmo, infatti, non si può contare sul rumore dello
sciacquio delle onde sugli scogli che nasconde le vibrazioni del nostro corpo, ed
eventuali altri rumori prodotti nell’avanzamento.
Conclusioni
Nell’agguato subacqueo far riferimento ad uno schema d’attacco costante è
una limitazione, perché sono troppe le variabili che ne possono condizionare il
successo.
La corretta interpretazione di una situazione di pesca deve trovare l’ispirazione
nell’osservazione attenta e nella creatività d’ogni pescatore: queste doti
faranno la differenza tra un mediocre e un gran cacciatore.
A questo diario di pesca allego il resoconto dell’esperienza vissuta e raccontata
da un allievo che ho trovato molto fresco e spontaneo.