n.16 - Diario di pesca

Siamo in pieno inverno e nonostante il calendario, all’imbrunire, come in una
notte d’estate, le rane avviano il loro concerto nella piscina del mio vicino di
casa.
Giornate dalla temperatura primaverile si susseguono per la gioia di chi, come
me, va per mare fuori stagione e gode del privilegio indiscutibile di non dover
dividere con altri lo scenario incantevole delle coste sarde: nessuno intorno per
miglia, solo gabbiani e cormorani!
Mi sono sempre chiesto dove finiscano i gabbiani d’estate, quando, vittime del
caos prodotto dai motoscafi si allontanano dalle coste per ricomparire, poi, alle
prime burrasche autunnali.
Ora si trovano dappertutto, appollaiati sopra ogni scoglio affiorante e quando
mi vedono nuotare vicino alle rocce si alzano in volo, gridando come degli
ossessi, bombardando la superficie del mare con i loro escrementi, un giorno o
l’altro riusciranno a centrare anche il foro del mio respiratore…
Oggi divido le emozioni della battuta di pesca con l’amico che poco meno di un
mese fa ho citato nella cattura di un dentice <suicida> di sei chili.
E’ sempre un problema portarlo a pescare perché ha il potere di attirare su di
se i pesci più grossi e rimbambiti della zona, lasciando a me i più piccoli e i più
difficili!
Questa mattina, appena alzato, dopo aver scrutato il mare dalla mia veranda,
ho avuto una premonizione: NAVIGARE VERSO SUD
I giorni scorsi, un forte grecale ha imbiancato la costa tra Porto Rotondo e
Capo Figari, successivamente, due giorni di scirocco hanno placato il mare, ma
per un buon lasso di tempo tutta la costa si è resa impraticabile ad ogni forma
di prelievo, requisito importante quando si praticano certe zone molto battute.
Decido di iniziare da una punta a cinque chilometri di distanza da capo Figari
ed andare nella sua direzione.
Il litorale si presenta molto frastagliato, formato da una roccia scura dentellata
ed erosa dagli agenti atmosferici, mentre l’alto Capo, sullo sfondo, biancheggia
di una roccia calcarea costellata di una vegetazione bassa strinata dal
maestrale.
Lo scenario è suggestivo dato ché, al basso litorale che costeggia la periferia
del piccolo centro di Golfo Aranci, segue l’imponente promontorio, alto qualche
centinaio di metri, squadrato, dove vivono ancora mufloni e cinghiali.
Abbiamo a disposizione un lungo tratto di basso fondo da dividere a “staffetta”,
e nel caso il pesce scarseggi, c’è la possibilità di cambiare strategia di pesca ed
immergerci nelle acque più profonde prospicienti il Capo (quando si imposta
una battuta bisogna sempre prevedere le opportune varianti!).
E’ un fondale ideale per l’agguato dalla superficie.
Dopo cento metri percorsi perlustrando tutte le anse della costa, senza aver
incontrato una coda, appena affacciato sopra una cresta di roccia quasi
affiorante, a scrutare l’interno di una piccola baia, resto abbagliato dalla
specchiata della livrea di un’orata che nuota, poco distante da me,
alimentandosi a pochi centimetri dal pelo d’acqua.
Si staglia contro la roccia scura vicino alla superficie, come un faro nella notte:
– immersione rapida ad anticipare il suo passaggio oltre la punta
– tiro ravvicinato
e l’orata, colpita nel suo baricentro, si mette a ruotare come una banderuola
intorno all’asta.
Un’ulteriore conferma delle abitudini eccentriche di questo sparide che a volte
si incontra, solitario, dove non gira altro pesce.
Altri cinquecento metri senza vedere una coda, poi riesco ad avvicinare un’altra
orata, della stessa taglia esagerata di quella che ho nel cavetto in cintura
(quasi tre chili).
Questa volta non mi trovo in parete, ma, scoraggiato dalla scarsa attività del
sotto costa, ho appena cambiato strategia: lontano alcune decine di metri dalla
costa mi immergo fino a raggiungere il fondo, quindi strisciando sul terreno
compio un percorso all’agguato risalendo fino al bagnasciuga controllando
anche il medio fondale.
Questa strategia è micidiale quando c’è molta risacca e gli sparidi si alimentano
nelle spaccature vicino alla superficie, oggi, però nell’acqua torbida tutti i pesci
hanno alzato il livello di allerta ad ogni minimo spostamento o rumore sospetto
nella colonna d’acqua ed anche l’orata, al mio incontro, si trova già sollevata
dal fondo con le pinne dorsali dritte e l’occhio inquieto.
Immagino che il mio amico fortunato mi raggiungerà, anche lui, con un’orata
sproporzionata o una spigola cieca da un occhio, invece, quando mi raggiunge
dopo aver completato il suo tragitto, nel frigo a bordo del gommone, trovo solo
una spigola di quasi un chilo e sul suo viso un’espressione di sconforto: pochi
incontri con pesce diffidente!
Il sole è spuntato prepotente tra le nuvole e ci obbliga ad un cambiamento di
direzione.
Per non averlo in faccia negli spostamenti sotto costa, ci avviamo alle pendici
del promontorio di capo Figari per tornare indietro, rispetto alla primitiva
direzione di marcia.
Con mia grande sorpresa, appena entrato in
acqua incontro una coppia di spigole (due
maschietti) che nuotano appaiati: affondo
come un U boat restando immobile a
mezz’acqua e metto allo spiedo il primo
esemplare, mentre il secondo si acquatta tra
le pietre del fondo e scantona come un cane
bastonato.
Tolgo dall’asta la prima spigola e
contemporaneamente nuoto dietro la seconda cercando di fare più rumore
possibile, finalmente, trovato un sasso con uno spacco passante, si ferma
agitando inquieta le pinne pettorali, come sono solite fare quando sono
terrorizzate. Riesco a ricaricare con una certa rapidità ed altrettanto
rapidamente a sbagliare un tiro scontato, tutto per cercare un’angolazione che
non rovinasse la punta dell’asta!
Dopo il primo tiro, stranamente, la spigola rimane sul posto, e la seconda
volta…
Sono convinto che la nostra attività subacquea assolva una funzione selettiva
importante: eliminiamo gli individui poco scaltri, contribuendo a migliorare le
caratteristiche genetiche delle specie che sopravvivono.
Da lontano, intanto, noto altre spigole di piccola taglia che passano al limite tra
sabbia e roccia e nel bagnasciuga gruppi di cefali che lascio sfilare sperando di
vedere spuntare “l’animale” in coda alla fila.
La situazione è completamente diversa da quella trovata nel primo tratto di
costa che abbiamo battuto, infatti, raggiunto il collega di pesca lo trovo tutto
eccitato per aver incontrato più volte gruppetti di spigole, tra i quali anche
l’esemplare che stavo cercando (fatto che conferma la mia teoria su questo
compagno di pesca)!
Continuiamo lungo lo stesso tratto di costa su un fondo che alterna grossi
ciottoli bianchi a scarne lingue di roccia scura su sabbia, a poco meno di un
metro di profondità. Questa volta mi dedico con impegno ai cefali, perché
incontro anche esemplari vicini al chilo.
Alla fine giungo in un’ampia baia dove la visibilità cala bruscamente per una
fine sospensione di foglia di posidonia sminuzzata dal moto ondoso, in alcuni
punti sembra quasi polvere.
La nuvola marrone che occupa la parte bassa dell’insenatura ha un contorno
netto: al di fuori, la trasparenza dell’acqua offre una buona visibilità.
Dentro questa nuvola marrone si muovono le spigole: ogni tanto ne esce
qualcuna, ma appena mi vede schizza di nuovo dentro, al sicuro (caspita se
sono furbe!).
Provo qualche aspetto all’interno - vedo un luccichio - tiro e prendo un cefalo!
M…!
Dentro questa entità aliena si sente scodare di continuo e un paio di volte mi
trovo una spigola tra la maschera e il fucile.
Riesco comunque a catturare un paio di maschietti della stessa taglia di quelli
già nel cavetto portapesci, ma quelle che hanno prodotto alcuni colpi di coda
sordi e potenti, non sono riuscito neppure a vederle.
Raggiunto l’amico, poco più avanti, mi aggiorna che oltre quella baia la festa è
ormai finita!
La memoria corre indietro negli anni, forse a trent’anni prima quando svolgevo
il compito di allenatore della “Mameli”, gloriosa società di nuoto e pallanuoto di
Voltri, delegazione alla periferia di ponente della grande Genova.
In quegli anni stavano costruendo il porto di “Multedo” e centinaia di camion si
susseguivano nello scaricare in acqua terra e pietre, per strappare al mare un
piazzale dove parcheggiare i containers portati dalle navi.
Nelle pause degli allenamenti andavo a battere la nuova scogliere frangiflutti a
protezione del costruendo piazzale, perché vi avevo scoperto un folto branco di
spigole.
I camion che scaricavano i detriti si alternavano al ritmo di uno ogni mezz’ora e
nell’acqua si formava una nuvola di terra in sospensione che secondo le
correnti ed il vento restava confinata in maniera surreale, con contorni netti e
volute tondeggianti.
Mi posizionavo all’esterno del cumulo scuro, nell’acqua pulita e aspettavo che le
spigole uscissero a controllare l’origine dello strano rumore prodotto dalla mia
presenza.
Dopo le prime catture, quando il branco aveva imparato a non uscire più dallo
sporco, mi addentravo nella nuvola di terra e appostato sul fondo tiravo alle
ombre scure che vedevo passare in controluce sopra la mia testa.
Le spigole cercavano i lombrichi che venivano scaricati insieme alla terra e
probabilmente anche altri animali intrappolati al momento del prelievo con la
benna dello scavatore (anche allora avevo la curiosità di controllare cosa
mangiassero i pesci catturati). La spigola è tra i pesci più opportunisti che
abbia mai cacciato e come tutti i predatori ( compresi quelli terrestri) ha
sviluppato un’intelligenza superiore agli altri pesci, dimostrando una capacità di
adattamento sorprendente.
Cade vittima solo della sua intelligenza e del suo opportunismo!