n.13 - Diario di pesca

La fine del secondo millennio, in Sardegna, è stata caratterizzata da una
burrasca che ha cambiato drasticamente le condizioni meteo-marine:
l’abbondante acqua piovana ha raffreddato la temperatura del mare che ora si
aggira intorno ai 13 °C, quindi vicina ai naturali standard invernali, nello stesso
tempo il moto ondoso ha sollevato una gran massa di sedimenti dal fondo,
intorbidendo l’acqua con una sospensione lattiginosa.
I venti freddi hanno gelato gli strati superficiali del mare, innescando un
movimento verticale delle acque.
Sul fondo del Mediterraneo, la temperatura dell’acqua si mantiene costante, al
variare della profondità, intorno ai 13°C (che poi è la temperatura dell’acqua
dell’oceano alla profondità della soglia di Gibilterra) mentre in alcune zone, in
superficie, il contatto con l’aria fredda notturna, porta gli strati superficiali a
pochi gradi sopra lo zero.
D’inverno, gli strati vicini al fondo, più caldi e più leggeri, tendono a salire
verso l’alto trascinando con loro i sedimenti ricchi di nutrienti, dei quali si ciba
plancton.
Il plancton, a sua volta, è l’alimento base dei pesci allo stato larvale.
La catena alimentare, quindi, s’innesca partendo dai movimenti verticali degli
strati profondi. Anche per questa ragione le burrasche portano pesce lungo le
coste: i pescatori professionisti dicono “cambiano l’acqua” ed una volta tanto
dicono bene!
Attendevo con preoccupazione quest’evento, in ritardo a causa di un autunno
particolarmente caldo, anche per l’arrivo delle spigole sotto costa.
Ieri, nonostante il vento da sud, al largo, avesse calmato il moto ondoso, il
sotto costa della Sardegna nord-orientale era talmente torbido da riuscire a
vedere a mala pena a qualche metro di distanza (che lusso diranno i laziali).
Nello stesso tempo con la risacca era difficile nuotare vicino agli scogli ed una
forte corrente, rendeva inaccessibili le secche al largo.
Insomma, per la pesca subacquea condizioni impossibili!
Dopo qualche tentativo ho rinunciato ad immergermi sulle secche esterne per
impostare definitivamente la battuta di pesca all’agguato nel basso fondo:
immersione a ridosso della parete con percorso subacqueo di perlustrazione a
“velocità non aggressiva”, intervallato da qualche breve aspetto.
Bottino finale quattro pesci!
La ragione fondamentale di questo insuccesso è da ricercare, soprattutto, nelle
ridotte condizioni di visibilità.
I pesci, nell’acqua torbida, non potendo tenere sotto controllo il circondario
impiegando la vista, alzano il livello di guardia nei sensori dell’apparato
acustico-laterale: al minimo rumore schizzano via.
La minutaglia è la prima a mettersi in fuga trascinando tutti i pesci in contatto
sonoro.
In Sardegna, con visibilità ridotta, si assiste a questo comportamento
particolarmente nervoso, per la presenza di numerosi predatori lungo le coste
(mi ricordo che non era così lungo il litorale ligure dove l’acqua torbida
consentiva carnieri eccezionali, in quella regione, però, i predatori sotto costa
mancano da molti anni!).
Nonostante l’insuccesso della battuta di pesca, tuttavia, devo riconoscere che
gli avvistamenti non erano mancati.
Oggi, su un lato di parziale ridosso della costa orientale, voglio verificare se le
condizioni di visibilità sono migliorate.
Ogni volta che mi calo in acqua, anche dopo tanti anni d’immersione, per me è
come aprire la porta di Alice nel paese delle meraviglie!
Non fraintendetemi, mi rendo conto di entrare in un mondo reale, ma le
sorprese sono sempre così tante da avere l’impressione di penetrare in un
mondo fantastico.
Questa volta, durante la burrasca di fine anno, un carico di centinaia di
mandarini deve essere caduto in mare spargendosi lungo tutto il litorale che
sto perlustrando: alcuni galleggiano ancora e ne raccolgo un paio per
sciacquarmi la bocca dal sapore del sale, al momento di uscire dall’acqua.
Qualche anno fa era capitato con un carico di noci, rientrato a terra sembravo
l’uomo di gomma della “Michelin”, le avevo raccolte sotto la muta!
Ho mangiato noci per mesi.
Il primo tratto del litorale che ho iniziato a perlustrare è esposto al vento:
l’acqua si presenta ancora torbida, ma in maniera non uniforme, e in alcune
insenature la visibilità è quasi accettabile.
La costa è molto frastagliata.
Dentro le sue anse, con il mare quasi calmo, provo a portare qualche agguato
in superficie.
Incappo subito in un’orata che mangia quasi a galla e in qualche sarago di
buona taglia.
Appena la costa torna esposta al vento, però, per evitare di finire sugli scogli
affioranti, sono costretto a cambiare strategia, passando all’agguato nel basso
fondo, con tragitto di esplorazione subacquea alla ricerca del pesce, senza
avvistamento in superficie.
Alternando queste due strategie secondo le condizioni del mare e della
conformazione della costa e saltando quei tratti con acqua troppo torbida, alla
fine, giungo in un lungo tratto di litorale a ridosso dal vento, rivolto verso il
mare aperto battuto dall’onda lunga, residuo delle recenti burrasche.
Sono in superficie, contro una cresta rocciosa, ancora pompando col diaframma
le ultime ventilazioni prima dell’apnea, quando, a tre metri di profondità appare
Lui!
Il predatore per eccellenza, quello per il quale la minutaglia schizza via al
minimo rumore quando l’acqua s’intorbida.
La magia dei suoi colori è grande quasi quanto l’apparizione improvvisa: il blu
metallico del dorso sfuma nel rosa pallido della pancia, anche nell’acqua
torbida.
Stiamo procedendo in senso inverso e come un aereo da caccia, mi getto in
picchiata verso quello che sarà, da una considerazione balistica, il nostro punto
d’impatto.
Come il solito sbaglio, colpendolo vicino alla linea laterale, al centro del corpo!
Quando parte, il dentice mi strappa via dal canalone che avevo utilizzato
nell’agguato e mi trascina per alcuni metri.
O dolce sensazione di essere trascinati nel mio sport preferito: lo sci nautico
subacqueo, attaccato al fucile!
Si sta dirigendo verso una spaccatura nella roccia e tenendo ben stretta
l’impugnatura anatomica nel palmo della mano lo assecondo.
Improvvisamente inverte la direzione puntando verso l’alto e dall’estasi, cado
nel panico.
Quanti dentici ho perso per quest’azione improvvisa, che si completa di solito
con la chiusura dell’aletta e il pesce che si sfila dall’asta.
Mi precipito a chiudere lo spazio verso la superficie, in un’operazione collaudata
negli anni. Lui si abbassa di nuovo verso il fondo cercando di sfregarsi sulle
rocce, là dove il ferro gli è penetrato nella carne.
Non sono riuscito ancora a recuperare un solo metro della sagola e noto, con
preoccupazione, lo squarcio che si sta aprendo nel suo corpo in corrispondenza
dell’asta.
Poi i ricordi si confondono e non riesco a ricostruire le sequenze esatte perché
se gli istanti precedenti sembravano rallentati, quelli successivi, nel ricordo, mi
sembrano accelerati.
Nelle fasi convulse, mentre il pesce si dibatte, riesco ad avvicinarmi e un
tentativo di agguantare il codolo della sua coda fallisce per la reazione violenta
del pesce, poi riesco a impugnare il codolo dell’asta e a spingerla contro una
roccia, bloccando per un attimo il dentice che si spinge ancora via con violenti
colpi di coda, ma nei pochi attimi di pausa con una manovra aggirante del
braccio, riesco ad agguantare l’asta dalla parte dell’aletta.
E’ fatta!
Risalgo in superficie e in un
abbraccio mortale stringo la
mia preda pensando già a
quanto potrà pesare.
Nove chili esatti.
La infilo nel portapesci in
cintura per costatare di aver
compromesso così la mia
acquaticità.
Sono lontano dal punto nel
quale ho preventivato di uscire dall’acqua, per tornare a piedi dove ho ancorato
il gommone.
Mentre nuoto, il contatto rassicurante con il corpo del pesce lungo la coscia mi
riempie di quella sensazione di appagamento che sono certo, anche voi
conoscerete bene!
Solo pochi giorni fa, spiegavo
ad un amico che aveva
realizzato la cattura di un
dentice all’agguato a pochi
metri di profondità, come, in
questo periodo nel basso
fondo, sia normale l’incontro
con un solitario di grossa
taglia, e che mi fosse già
capitato di incontrarne
diversi. E proprio pochi giorni
prima, uno di questi bestioni, colpito dalla coda verso la testa mi si era sfilato
dall’asta.
Prima di affrontare l’argomento del comportamento del dentice voglio ricordare
che tutti i teleostei sono pecilotermi. Cosa vuol dire questa parolaccia?
Sono animali che disperdono il calore metabolico nell’ambiente esterno ed
assumono perciò la stessa temperatura dell’ambiente nel quale vivono, come si
verifica, ad esempio, nei rettili della terra ferma.
Avete mai osservato il comportamento di una lucertola prima di un attacco a
qualche insetto? Si appoggia su una pietra calda esposta al sole in modo che i
suoi muscoli raggiungano la temperatura ottimale per lo scatto.
Anche gli atleti prima di uno sforzo fisico scaldano i muscoli, nonostante gli
umani appartengano ad una specie endoterma (che produce calore attraverso
il proprio metabolismo).
Per la combustione prodotta dall’attività muscolare c’è una temperatura alla
quale avviene il processo, per il quale il rendimento chimico è ottimale.
I dentici si trovano nelle condizioni di temperatura ideale per lo scatto, solo
d’estate sopra il termoclino e chi li ha visti cacciare, com’è capitato a me, sarà
rimasto stupito dalla loro velocità, associata al rumore caratteristico prodotto
dall’attrito delle squame contro i filetti fluidi dell’acqua del mare.
D’inverno, la temperatura dell’acqua è lontana dai 24°C che s’instaura sopra il
termoclino estivo e il dentice in caccia si trasforma nella parodia dello
splendido predatore che era solo qualche mese prima.
Come il comportamento degli animali sulla superficie terrestre insegna, anche
un temibile felino può trasformarsi in sciacallo quando la necessità
dell’ambiente lo impone.
Così il dentice nell’acqua fredda trovandosi impacciato, frequenta il basso fondo
solo alla ricerca di prede ferite o in difficoltà dopo una mareggiata.
Qualche volta mi sono trovato appostato sul fondo ad osservare i suoi goffi
tentativi di caccia invernale: il pesce piccolo riesce sempre a fuggire perché si
trova avvantaggiato dalla modesta resistenza al suo avanzamento che oppone
la poca acqua che deve spostare (è proporzionale all’area della sezione
frontale).
Quest’interpretazione spiega la presenza solitaria del dentice sotto costa a
differenza dell’abitudine di partecipare alla caccia in branco sopra il termoclino
estivo.
In definitiva il dentice è una vera macchina da guerra solo nell’acqua calda
quando il suo metabolismo può trasformarsi nell’equazione:
MASSA MUSCOLARE=ENERGIA PRODOTTA PER L’AVANZAMENTO
Nell’acqua fredda si riduce ad un povero sciacallo che accompagna, a volte, i
branchi delle sue prede abituali per scoprire nel gruppo, l’animale malato o in
difficoltà, la cui cattura non richieda gran dispendio d’energia e soprattutto alte
velocità di predazione.
Due anni fa ho raggiunto il record di una trentina di catture di dentici tra i tre
chili e mezzo e i nove chili e seicento grammi, all’agguato nel basso fondo.
Questo è il primo del terzo millennio e spero di potervi raccontare la cattura di
molti altri, nel corso dell’anno, prima di iniziare le riprese del video sull’aspetto
dinamico al dentice.