n.09 - Diario di pesca

20/27 GIUGNO, 2000

Ho appuntamento con Vincenzo Magnani a Macinaggio, un porto a ridosso del
Maestrale nel “dito” della Corsica, vicino a capo Corso.
L’intento è di mettere a punto le videocamere per le riprese del mio prossimo
video “sull’aspetto al dentice”.
I provini che abbiamo realizzato con Gaspare Battaglia, infatti, non sono stati
soddisfacenti, soprattutto, per il bilanciamento dei colori delle immagini
filmate.
E’ la prova evidente che il nostro cervello corregge ed arricchisce le
informazioni che riceve dall’occhio: l’immagine non elaborata della
videocamera in immersione è sempre meno vivida della nostra visione!
Vincenzo guida una comitiva di quattro amici di Bologna, tutti agguerriti
pescatori subacquei.
Tempo permettendo, dovremmo battere il tratto occidentale del “dito corso”
che Vincenzo conosce molto bene per aver gestito nel passato un dyving nel
paesino di Centuri.
Sbarcato a Porto Vecchio, percorro in senso longitudinale tutta la Corsica: tre
ore di viaggio lungo una strada che attraversa decine di centri affollati.
Giunto al porto di Macinaggio, trovo tutto il gruppo impaziente di “andare per
mare”. Le condizioni per la navigazione sono perfette: assenza di vento e tanto
sole!
Dirigiamo verso il banco di Centuri, dalla parte opposta del “dito corso”.
Dopo aver lasciato un primo gruppo ad immergersi sotto costa, dirigiamo verso
il largo.
Questo banco è una secca a qualche miglio dall’omonimo paese, i cui numerosi
cappelli giungono poco sopra i venti metri.
E’ tra i posti mitici della pesca subacquea per le catture entusiasmanti che
molti pescatori vi hanno realizzato nel passato e per le crociere di pesca
organizzate dal gruppo Bellani, Ramacciotti e Tortorella che spesso vi facevano
tappa obbligata.
La mia prima impressione, nonostante le aspettative, purtroppo, è deludente:
abituato ai fondali vertiginosi di picchi a strapiombo e alle grandi franate di
massi del nord della Sardegna e del sud della Corsica, le lisce colline del banco
di Centuri separate da distese di sabbia e posidonie, prive di rifugi evidenti per
il pesce bianco, appare come un deserto senza vita.
Dopo mezzora non ho ancora visto un pesce!
Anche le castagnole e l’altra minutaglia di pesce azzurro, abituali abitanti di
queste secche al largo, sono completamente assenti, in uno scenario desolante
e sconfortante.
Nelle poche zone dove il fondale propone una piccola franata, qualche cernia
fa capolino all’imboccatura della sua tana e sembra l’unica abitante della zona.
Alcune cerniotte si intravedono, nella classica posizione “in candela” vicino a
modeste spaccature poco profonde che seguono la morfologia delle colline
tagliandole orizzontalmente alla loro base.
Sono più numerose le immersioni “ a vuoto” di quelle nelle quali si può
scorgere un pesce, solo da lontano.
Anche i labridi sono quasi assenti, nessun sarago e nessuna corvina.
Durante un’immersione ho un leggero fremito di eccitazione quando si profila
da lontano un branco di dentici, ma sono di piccola taglia e si tengono molto
lontani dalla gittata del mio fucile.
Dopo un’ora e mezza ci ritroviamo tutti delusi sul gommone con Vincenzo che
non sa spiegarsi il perché della situazione.
Andiamo a recuperare gli altri amici che avevamo lasciato sotto costa per
raccogliere altri commenti delusi: poco pesce e tutto molto diffidente.
Vincenzo, chiamato in causa nella figura di accompagnatore organizzatore di
una spedizione infruttuosa, a questo punto, mi porta fuori da una punta poco
distante da Centuri.
Mi avverte che si tratterà di un’immersione profonda, ma ricca di pesce e mi
descrive un fondale sabbioso con tre grossi sassi accatastati.
Sono necessarie alcune “planate a mezz’acqua” per individuarli ed in effetti
intorno ai sassoni girano inquieti: un grosso branco di saraghi fasciati, alcune
corvine e qualche sarago maggiore.
Alla prima immersione, per l’appunto, catturo un bel sarago maggiore, ma,
stranamente, trovo l’immersione più impegnativa di quanto mi aspettassi:
forse un po’ di stanchezza per il viaggio!
Piero, il profondista del gruppo, scende a sua volta e arpiona in caduta una
corvina di poco più di un chilo.
La discesa successiva catturo anche io una corvina che mi costringe ad un
inseguimento al limite della sabbia. Mi lamento con Vincenzo della taglia
modesta dei pesci, lui, allora, mi invita a guardare sotto il lastrone più esterno.
Seguo il suo consiglio: affacciatomi all’imboccatura dello spacco, puntualmente,
questa volta, osservo un “ buon movimento di pesce”: aspetto qualche
secondo per realizzare l’allineamento di due pesci con la direzione dell’asta, ma
il gioco non mi riesce e tiro un sarago che, una volta colpito si addentra sotto il
lastrone.
Nella manovra di recupero ho appena il tempo di notare un’asta di fucile ad
elastici conficcata in qualcosa che non riesco a distinguere bene, nel buio della
spaccatura, ne riconosco però la casa produttrice.
Mentre risalgo in superficie, mi rendo conto che quell’asta ha azzerato la mia
tensione di caccia e che mi mancano gli stimoli per continuare a sommozzare a
quelle quote.
Chiedo a Vincenzo chi può conoscere questo posto e mi risponde: “forse
Stefano Bellani”!
Stefano, tuttavia, non è tipo da lasciare un’asta in una tana così interessate.
Chissà in cosa era incastrata e a chi apparteneva!
Resterà un mistero perché, sorridendo, Vincenzo mi confessa che il lastrone è a
39 metri di profondità e non vale la pena di “scendere” ne per un sarago, ne
per togliere un’asta dalla tana.
La prima giornata di pesca si conclude alla Giraglia, l’ultimo scoglio della terra
corsa dove, strisciando tra i nastri delle posidonie e le rare formazioni rocciose,
riesco a catturare una bella corvina.
Nella luce diffusa del tramonto aggiungo ancora un dentice di un chilo e mezzo
al magro carniere, cercando di fare un bilancio della giornata e di capire cosa
può aver determinato la carenza di pesce, in una zona, considerata da tutti i
pescatori subacquei, leggendaria!
Non voglio arrivare a conclusioni premature, ma ho osservato l’assenza di
piccoli pesci che caratterizzano, sempre, la colonna d’acqua sovrastante le
secche al largo, come il banco di Centuri.
Devo tenere conto, inoltre, della bonaccia che affligge la zona, da diversi
giorni.
I periodi di calma piatta non favoriscono gli spostamenti dei pesci!
La mattina successiva, ancora mare calmo e assenza di corrente, mentre noi
navighiamo verso il lato occidentale del “dito”.
Poco dopo l’isolotto della Giraglia, a punta Nera, Vincenzo mi fa notare il nido
di un falco pescatore con due nidiacei che seguono attentamente il passaggio
del nostro gommone.
E’ forse uno degli ultimi nidi stabili di questo rapace in via di estinzione: è
arroccato su uno sperone a picco sul mare, protetto da una rete che lo difende,
verso il basso, dalle incursioni di una volpe che nel passato ha azzerato diverse
covate.
La battuta di pesca segue l’andamento e i risultati del giorno precedente: pochi
pesci e molto scaltri !
Questa volta cerco di studiare il comportamento degli esemplari che incontro
ed arrivo alla conclusione che la zona, nonostante l’apparente inaccessibilità,
deve essere frequentata sovente dai pescatori subacquei.
Anche gli altri componenti del gruppo sono d’accordo con la mia
interpretazione, solo Vincenzo scuote la testa incredulo.
Decidiamo di fermarci, per la notte, a Marina di Giottani e il giorno successivo
di spingerci ancora più a sud, oltre S. Florent.
Il porticciolo di Giottani sembra quello delle bambole tanto è piccolo, tutto
addossato ad una delle pareti che delimitano la piccola insenatura dalla
spiaggia di ciottoli e dalla vegetazione che incombe sul mare.
Anche l’albergo dove dormiremo ha solo quattro camere e tutto il paesino è
minuscolo, affacciato sull’insenatura, frazione a mare del paese vero e proprio,
arroccato, nell’interno, su un’altura.
Lungo la costa, antiche torri di avvistamento un po’ dovunque, a ricordare un
passato di incursioni saracene e fenicie.
Chissà quanti altri popoli marinari si sono spinti fino a questa costa in cerca di
schiavi e di provviste: la Sardegna e la Corsica, nella loro storia passata, sono
accomunate da un identico destino e anche io mi sento come un predone del
mare, giunto da lontano per rapire il pesce che, come gli indigeni si
nascondevano nell’entroterra, deve nascondersi, in questi giorni, in qualche
zona profonda del mare.
Ceniamo nell’albergo/ristorante sotto una tettoia spartana, sulla spiaggia dalla
quale godiamo la vista di un tramonto di fuoco.
Dopo cena si avvicina un genovese, pescatore subacqueo alloggiato da dieci
giorni in paese, che sconsolato ci conferma: “il pesce non è ancora entrato”!
Inizialmente non mi riconosce, poi informato dagli altri, si inginocchia e mi
rende omaggio alla maniera dei crociati e versa generosamente nei nostri
bicchieri il contenuto della bottiglia che tiene per il collo: un delizioso
“limoncello” fatto in casa!
La mattina successiva navighiamo verso sud tagliando il golfo di S. Florent.
Scopriamo spiagge deserte delimitate da insenature indimenticabili e punte di
roccia bassa che sott’acqua, purtroppo, finiscono dopo pochi metri sulle
posidonie.
Vincenzo cattura un barracuda di tre chili ed io come gli altri qualche sarago e
qualche corvina.
Danilo arpiona una spigoletta, sotto costa e mi viene un’ispirazione: tiro fuori
l’arma dell’agguato sotto costa, il fucile da schiuma e con una pietra piatta
infilata in cintura per sopperire la mancanza di piombo da zavorra, riscatto una
modesta giornata di pesca con qualche bel sarago.
Il ritorno verso Macinaggio è veramente avventuroso per il mare che sta
montando da libeccio. Una breve tappa a S. Florent per il rifornimento di
carburante, un’occhiata vogliosa ai culi delle femmine e poi il lungo rientro tra
le onde alte qualche metro e il motore (Selva) che tossisce.
Davanti a punta Nera solo un nidiaceo fa capolino dal nido con le piume
arruffate dal vento.
Ci fermiamo a pulire il pesce in una baia dietro gli scogli di Finocchiarola e dopo
pochi minuti una nuvola di gabbiani si getta sulle interiora dei pesci che
galleggiano, stridendo come degli ossessi.
Mi sdraio sul tubolare del gommone per osservarne le loro evoluzioni in volo: la
stanchezza o il rollio della barca, mi procurano una leggera vertigine. Poi lo
sfintere di qualche gabbiano, nell’eccitazione del pasto si mette ad evacuare di
fianco al gommone ed io prudentemente mi siedo e calzo meglio il berretto di
lana, rimedio efficace contro la sinusite.
Il giorno successivo il forte libeccio ci obbliga a pescare a ridosso del vento e
della mareggiata in corso: necessariamente battiamo il lato orientale del “dito”,
dal porto di Macinaggio verso Bastia.
Scendiamo in acqua intervallati per farci un’idea del fondale vicino alla costa e
scoprire, purtroppo, che la posidonia su questo lato gode di ottima salute!
Lo scenario è simile a quello che ho osservato in altre immersioni più a sud ,
tra Solenzara e Porto Vecchio: la roccia termina a pochi metri dalla battigia e
poi solo posidonia e sabbia! Sparuti gruppi di saraghi di piccola taglia si
raccolgono attaccati alla parete rocciosa, ma sui nastri delle piante neppure un
pesce.
Mi adeguo alla situazione e con la solita pietra in cintura per appesantirmi,
rimedio qualche sarago all’agguato nel basso fondo. Ogni tanto tento
un’esplorazione al largo, ma mi perdo nelle sterminate praterie (sterminate per
l’occhio del pescatore subacqueo naturalmente!).
Davanti ad una punta poco pronunciata della costa, le posidonie formano delle
piccole cigliate che con un salto di poco più di un metro cadono verticalmente
sulla sabbia.
Dalla superficie vedo un denticiotto seguito dal fratello maggiore che cacciano
proprio sopra le foglie, non capisco quale specie cerchino perché non c’è
neppure l’ombra di un pesce azzurro!
Mi viene in mente una situazione analoga vissuta lo scorso settembre, più a
sud, vicino a Pinarello: avevo catturato nove dentici (di taglia modesta)
appostandomi sopra le foglie della posidonia. Bastava appoggiarsi sulla prateria
per vederli arrivare da tutte le direzioni: l’unica difficoltà era di realizzare
rapidamente l’allineamento di tiro.
Fatta questa breve riflessione, mi apposto alla base di uno degli scalini formati
dai rizomi delle piante e arriva subito il dentice piccolo, seguito dopo qualche
secondo da quello più grosso.
Mi disinteresso del piccolo che continua a girarmi intorno facendomi
deconcentrare e per tre volte ho quasi in allineamento il più grosso. Un suo
scarto improvviso mi obbliga sempre a rinviare il tiro.
Scompaio, allora, tra le posidonie con le foglie che mi solleticano le labbra:
questa operazione, finalmente, ha l’effetto di scatenare l’aggressività del pesce
che si posiziona proprio sopra la mia testa. Dalle foglie parte l’asta che lo
trafigge cogliendolo con un ‘espressione di sorpresa (nell’espressività dei
dentici), occhio fisso, spine dorsali erette.
E’ l’unica emozione della giornata a parte una tromba d’aria che fa volare in
mare asciugamani e cappelli dalle spiagge e disancora il gommone che
dobbiamo inseguire prima che venga sospinto al largo.
Dai resoconti dei compagni di pesca, solo lo sconforto di aver nuotato per ore
sulle praterie di posidonie.
I più sono usciti dall’acqua senza un pesce!
Vista la piega che ha assunto la giornata, con Vincenzo decidiamo di smettere
di pescare per girare un provino con un filtro color magenta, posto
sull’obiettivo della custodia della videocamera, a verificare se questo
accorgimento restituisce alle immagini un po’ di colore rosso perso per
l’assorbimento dell’acqua.
Per caso, a pochi metri di profondità, scopriamo il relitto di un aereo bimotore
della seconda guerra mondiale sul quale passerà successivamente un branco di
denticiotti.
Siamo impegnati nel cercare degli itinerari subacquei che rappresentino un
buon test per le riprese, quando siamo sorpresi entrambi da un dentice di tre o
quattro chili che passa, forse, a tiro!
E’ la conferma che su questo fondale l’unica possibilità di cattura, a meno di
non conoscere qualche isola di roccia al largo, è quella di aspettare un dentice
in caccia sulle posidonie.
Con un po’ di pazienza si possono individuare le loro zone abituali: il
comportamento dei dentici in queste condizioni non è così diffidente come
quello riscontrato nei giorni scorsi, forse perché nessuno è tanto matto da
mettersi ad aspettarli sulle praterie di posidonie!
Il giorno successivo è sabato e sicuramente incontreremo il traffico dei
motonauti del week-end.
Il libeccio è ancora sostenuto, ma resta agibile il tratto di costa tra la Girolata e
le isole di Finocchiarola: due gruppi entrano in acqua sotto costa per pescare
nella schiuma, mentre con Piero e Vincenzo proviamo ad immergerci alla
Girolata.
La corrente, però, è tanto forte da rendere impossibile doppiare la punta che
delimita il ridosso dalla parte esposta al libeccio. Proprio su questa punta riesco
ad arpionare un denticiotto.
Le condizioni sono proibitive e poco dopo tutti insieme ci spostiamo al largo
della torre di S Maria, dove a poco meno di un chilometro dalla costa, Vincenzo
conosce un basso fondo (10/ 12 metri ) formato da qualche agglomerato
roccioso sulle immancabili posidonie.
La roccia offre rifugio a qualche specie ittica: per lo più saraghi pizzuti e
qualche corvina.
La difficoltà sta nell’individuazione delle rare zone dove la roccia si spacca
invece di appoggiarsi sulla sabbia.
Dalla superficie non sempre è possibile fare questo esame e, a volte, gli
spacchi sono nascosti dai nastri della posidonia.
Decido di muovermi all’agguato tutte le volte che incontro un agglomerato
roccioso, strisciando sul fondo.
Con questa strategia riesco a sorprendere una corvina di buona taglia mentre
vedo un’altra filare via con una manovra sorprendente: esce da uno spacco che
probabilmente non riteneva sicuro e dove non l’avevo ancora individuata per
imbucarsi nella fitta prateria!
Anche in questo basso fondo il pesce dimostra un atteggiamento molto
diffidente, tipico delle zone molto battute. Mentre, agli amici espongo questa
riflessione, neanche a farlo apposta, poco dopo riconosco su un gommone di
passaggio il campione francese Didié Desprat, discusso interprete del video
girato in Tunisia: “Pesca d’inferno”.
Proviene da punta Nera: il promontorio sotto costa di fronte alla Girolata.
Sono allo sconforto! Abbiamo esaurito le zone conosciute da Vincenzo e ci
mettiamo a girare come disperati scrutando il fondo dal gommone.
Poco al largo della torre di S Maria individuiamo un po’ di roccia e facciamo
“un’ammucchiata” su questa secca che, successivamente, si rivelerà
interessante: in molti punti è spaccata e presenta un doppio fondo.
Finalmente i carnieri si rimpinguano: Vincenzo arpiona qualche bel sarago e gli
altri un denticiotto e alcune corvine.
Domenica, il nostro ultimo giorno, decidiamo di cancellare le cosiddette zone
buone conosciute da Vincenzo e, approfittando della scaduta di libeccio, di
sbatterci sotto costa all’agguato o all’aspetto nella schiuma.
Ci distribuiamo a coppie lungo la costa che va da punta Nera (la punta del falco
pescatore) fino a Centuri.
L’onda, sulla battigia, si arrotola schiumando di bollicine d’aria tutto il basso
fondo e in immersione si sentono rotolare i sassi più piccoli sospinti dall’onda e
dalla risacca.
E’ sufficiente il primo agguato d’esplorazione, per rendermi conto che la
situazione è magicamente cambiata: in quella schiuma c’è di tutto!
Nel primo tratto catturo un’orata di più di due chili, una spigola e un numero
imprecisato di saraghi. Nel secondo tratto, dopo aver lasciato il pesce a bordo
ed essermi spostato in gommone fino alle vicinanze del paesino di Centuri,
realizzo un carniere strabiliante (riempio completamente il cavetto del
portapesci): altre due spigole (la più grossa sopra i due chili) e una quantità
industriale di saraghi.
CONCLUSIONI
E’ sempre difficile fare un bilancio attendibile di una zona che si è visitata per
la prima volta, per questo è utile tenere presente le interpretazioni date da
Fernando, l’ospite genovese di Giottani e di Stefano Bellani, sentito
telefonicamente da Vincenzo che dall’isola di Capraia, dove abita, viene spesso
a pescare in queste zone: entrambi concordano nel dire che “il pesce non è
ancora entrato!”
Queste dichiarazioni, di pescatori che indubbiamente conoscono bene la zona,
sono però generiche e vogliono dire tutto e niente.
Il dito corso, indubbiamente, è un posto particolare dove, distese di sabbia e
praterie di posidonie sono molto estese occupando grandi areali: questi biotopi
non offrono rifugi stabili agli sparidi e ad altri piccoli pesci, alimento base di
molti predatori che dipendono, di conseguenza, esclusivamente dal pesce
azzurro presente nella colonna d’acqua e dalle sue migrazioni.
Il pesce azzurro, a sua volta, dipende dal plancton che sospinto dal gioco delle
correnti può raccogliersi intorno al “dito corso” o può essere completamente
assente, come nei giorni delle nostre battute di pesca.
Come in molti altri casi, dobbiamo osservare i primi anelli delle catene
alimentari per capire dove possiamo trovare i loro predatori!
L’assenza di pesce azzurro in zone dominate dalle praterie di posidonie,
condiziona la presenza di dentici ricciole e tonni.
Più che dire “il pesce non è ancora entrato” bisognerebbe dire “il plancton è
altrove!”
A mio avviso, per l’assenza di pesce bianco quale: saraghi, corvine, cefali,
spigole ed altri, bisogna fare un altro discorso.
In questo caso l’eccessiva pressione del prelievo subacqueo, come ho
sostenuto in altre mie argomentazioni, ha l’effetto di allontanare le specie più
cacciate, modificando, a volte solo temporaneamente le loro abitudini.
E’ sufficiente, però, una forte perturbazione che per le specie ittiche
rappresenta l’occasione e la molla per le migrazioni e gli spostamenti a far
riavvicinare tutto questo pesce sotto costa, in primo luogo perché durante le
mareggiate nessun pescatore è operativo ed in secondo luogo perché le
mareggiate raccolgono nel basso fondo molta mangianza e nessun animale sul
nostro pianeta si tira indietro di fronte ad un facile pasto.
Il “dito corso”, pur essendo una località poco abitata, via mare, è vicino alla
Liguria e alla Toscana, notoriamente grossi serbatoi di appassionati pescatori
subacquei che ben poco hanno da cacciare lungo le loro coste.
E’ vicino anche alla Francia che, come terra madre, ha un ottimo collegamento
via mare, tramite i traghetti: Salvatori, noto campione di pesca subacquea
francese, spesso, fa base a Centuri per le sue incursioni proprio sul banco
omonimo.
Per la parte orientale del “dito”, invece, il fondale è proprio infelice per la pesca
subacquea: sabbia e posidonia non reclutano alcuna specie tranne qualche
dentice. Probabilmente con il grecale o con lo scirocco, provvisoriamente si
possono avvicinare anche spigole orate e cefali, come mi è capitato di
verificare nella zona di Porto Vecchio, ma rientra in fenomeno occasionale con
nessuna continuità nell’avvicendamento stagionale.