n.07 - Diario di pesca

14 Giugno, 2000

Oggi 14 giugno, risalendo sul gommone dopo aver ispezionato il cappello nord
della secca del Diavolo, ho scoperto una pulce di mare attaccata al polpaccio,
non mi era mai successo!
Non so come interpretare l’avvenimento: o con la mia tecnica raffinata e il
disegno mimetico sulla muta riesco ad ingannare anche le pulci, oppure puzzo
tanto di pesce da attirare anche i parassiti!
Ho trovato la carcassa in putrefazione del dentice che ho colpito una settimana
fa, era a poche decine di metri dal luogo dell’incontro.
L’avevo infilato dalla testa verso la coda, ma l’asta non aveva passato
completamente il corpo e si era sfilata in risalita.
Me n’ero accorto solo in superficie perché al termine di una lunga apnea avevo
filato solo parzialmente la sagola del mulinello, pinneggiando verso l’aria e
guardando in alto.
Che sconforto rimirare l’asta vuota dopo un aspetto e un tiro perfetto!
Non avevo nessun riferimento per poterlo cercare, sicuramente era nascosto
morente in uno dei mille spacchi e anfratti che caratterizza questa secca.
Il dentice una volta colpito ha una reazione violentissima, proporzionata alla
sua imponente massa muscolare, ma esaurisce subito le energie e cerca un
rifugio nel primo spacco che incontra.
Quand’ero più giovane e disprezzavo il mulinello, colpito il dentice lo
accompagnavo, personalmente, assecondandolo nel nuoto verso un rifugio.
Incastravo il fucile e recuperavo il pesce l’immersione successiva.
Con questa tecnica, in passato, ho perso solo pochi pesci e mai il fucile!
Con gli anni sono diventato pigro e adottato il mulinello nella pesca profonda,
dopo aver centrato il bersaglio risalgo subito, ”lavorando” il pesce con la
sagola, quando posso…
Nel passato, invece, agguantavo tutto in mano prima di risalire, forse pescavo
meno in profondità, forse ero un po’ incosciente, forse ero più giovane!
Quando il dentice si staccava dall’asta, iniziavo una rapida ricerca a spirale a
pochi metri dal fondo, fino ad individuare la traccia di sangue che usciva da un
buco o le castagnole nervose che prima si appallavano e poi esplodevano
davanti alla suo ultimo rifugio.
Il sangue del pesce in profondità perde il caratteristico colore rosso, ma
s’individua facilmente perché ha una densità diversa dall’acqua e la rifrazione
dei raggi luminosi che lo attraversano produce un effetto tremolante, simile a
quello del termoclino.
Se fossi andato a cercarlo il giorno dopo, l’avrei trovato ancora commestibile, lì
dove si trovava oggi.
Prima di morire, comunque, il dentice esce dalla tana e a volte è sufficiente
aspettare qualche ora, per notare, anche dalla superficie, la macchia bianca del
suo corpo che si staglia sul fondo scuro.
Appena scorta la carcassa avevo pensato: ”Qualche imbranato del corso
istruttori d’Apnea Accademy di Santa Teresa che si è fatto scappare un dentice
ferito!”
Invece l’imbranato ero io…
Non per giustificarmi, ma per la dovuta analisi: quest’anno ho adottato delle
aste con la doppia aletta che, pur offrendo una ridotta sezione frontale (l’asta è
stata fresata per alloggiarle senza eccessive sporgenze) producono, comunque,
una minore penetrazione nelle carni dei grossi pesci.
I giorni scorsi ho provveduto a montare elastici più potenti, ma, come
immaginavo, ho perso in precisione del tiro.
Gli elastici corti si possono usare solo per la cattura di grosse prede, ma come
prevederne l’incontro?
Quattro giorni fa, sulla secca davanti all’Hotel Romazzino, tra l’isola del
Mortorio e Porto Cervo ero con Gaspare Battaglia a provare videocamere e
custodie per le prossime riprese: discutevamo in superficie quando lui mi ha
indicato col dito di guardare verso il fondo.
Una ricciola di trentadue chili incuriosita dalla nostra discussione stava venendo
a prenderne parte.
Gaspare non se l’è sentita di seguirmi, per non spaventare il pesce così le sono
andato incontro da solo: la planata si è conclusa a 10 metri dalla superficie con
un tiro, dal suono sordo, in pieno corpo.
Tiro a 4 metri di distanza, pesce non passato!
Filo subito la sagola, ma la ricciola ha una debole reazione che capirò solo dopo
il recupero.
Giunto in superficie chiedo a Gaspare di andare a prendere il gommone,
immaginando, quanto prima, di dover fare un po’ di sci nautico, ma dopo
qualche giro il pesce nuota verso l’alto e sono costretto a recuperare, a mano,
trenta metri di sagola del mulinello.
Gaspare mi è sulla testa, gli passo la sagola e lui il BAT fucile già carico.
A due metri “gliela tiro” verso la coda, come per il tonno del mio video:
completamente passata…!
Tutto il resto non fa storia, tranne che per un particolare: anche in questo caso
ho realizzato una “cattura sottopelle”. La prima asta ha tenuto il pesce, con le
due alette aperte, solo per la pelle.
Se non avessi documentato questo genere di catture con un pesce più grosso
passerei per un millantatore.
La reazione modesta del pesce, quindi, era dovuta al leggero prurito
superficiale che le avevo provocato con l’asta. Forse, fino al secondo tiro, la
ricciola ha immaginato che si trattasse di un nuovo gioco!
Non pensate che stia teorizzando una nuova tecnica di cattura: il tiro
sottopelle…
Quando si verificano questi incontri bisogna essere ben attrezzati: fucile ad
elastici di almeno 115 cm con coppia di elastici corti e potenti o fucile
oleopneumatico da un metro in su.
E’ il solito problema, t’immergi con un cannone e ti si presentano dei
saraghetti, porti il fucile da pesce bianco e arriva il pelagico!