n.06 - Diario di pesca

27 Maggio, 2000

E’ venuto a trovarmi Marco Bonfanti, titolare della C4 con due amici, mi ha
portato il casco in fibra di carbonio dove monterò la microcamera per realizzare
le riprese del mio prossimo video sul dentice e il suo fucile monoscocca 100
che utilizzerò per le catture.
E’ stata l’occasione per una approfondita discussione sui fucili della quale vi
relazionerò in un articolo a parte, ma tutti e tre friggevano nell’impazienza che
li portassi a pescare.
La sera precedente avevo tardato a prendere sonno pensando a quale zona
battere la mattina successiva: non conosco molti posti dove poter pescare
fruttuosamente in quattro!
All’alba, un’occhiata al tempo e decido per il gruppo di scogli dei Poveri di
fronte al golfo di Cugnana.
Vedo questi scoglietti dalla veranda della mia casa e vi ho pescato un numero
indefinito di volte con alterna fortuna.
Offrono un basso fondo adatto alle possibilità tecniche dei miei amici e
all’esterno una secca molto vasta dove potermi sbizzarrire…
Partiamo da cala di Volpe con il piccolo gommone dalla chiglia pneumatica che
uso gonfiare e sgonfiare giornalmente (con una pompa elettrica) per cambiare
ogni volta località di ingresso.
Per il peso, il gommone non riesce a planare e sembriamo “un’armata
Brancaleone”!
Lascio gli amici di Marco sugli scogli più in terra, uno a sud e l’altro a nord e
fisso l’incontro del gruppo più ad est, vicino alla meda della secca del Principe
(così chiamata perché sembra vi sia naufragato l’Aga Kan Karim).
Marco si immerge al centro del piccolo arcipelago ed io ancoro il gommone
secondo il mio programma.
La giornata è nuvolosa e senza vento, l’acqua ancora un po’ torbida, ma inizia
a scaldarsi per un buon tratto della colonna d’acqua.
I giorni precedenti ho catturato alcuni dentici: le primizie di stagione!
Le aspettative sono tutte rivolte agli splendidi predoni, ma inizio a pescare con
metodo secondo le mie abitudini: le prime immersioni di perlustrazione con
qualche aspetto posizionato piuttosto in alto rispetto al fondo.
Mi accorgo così che i saraghi sono distribuiti sulla parte alta dei cappelli delle
secche, alcuni addirittura vengono all’aspetto, in generale però, sono
indaffarati a ingozzarsi di alghe.
I biologi ritengono che le varietà Diplodus sargus sargus e vulgaris, siano
prevalentemente carnivore, ma la varietà alimentare di queste specie è
proverbiale e ho realizzato catture di alcuni individui con ancora in bocca il
ciuffetto di un’alga dal colore verde tenero.
Non ho ancora capito se è la temperatura dell’acqua, verso la superficie più
calda, che scatena la loro frenesia alimentare o se la stagione fa germogliare le
alghe di cui sono ghiotti e da buoni opportunisti non perdono l’occasione!
Indiscutibilmente la temperatura dell’acqua è il fattore più importante che
regola la vita subacquea: più in profondità nell’acqua fredda non c’è vita (mi
riferisco alle nostre prede, naturalmente!).
Decido di muovermi all’agguato, non tanto sul fondo, quanto nella fascia alta
delle secche dove si raccoglie il pesce.
Cercate di immaginarmi in certe catture delle riprese del video “L’agguato
profondo”, quando struscio sulle pareti di roccia orizzontali, per affacciarmi
lentamente sulla caduta di parete verticale o mentre aggiro una guglia conica
per scoprire il sarago che si alimenta dalla parte opposta dalla quale mi sono
immerso.
L’ambiente subacqueo è cupo per le nuvole basse che riducono la luminosità
esterna ed è un’impresa individuare il pesce a 15 metri di profondità. Adotto
una strategia con molte soste (non li chiamerei aspetti!) per poter scoprire la
“specchiata” della livrea del sarago che per staccare con i denti i germogli delle
alghe è costretto a compiere un avvitamento per imprimere energia cinetica
allo strappo.
Mi viene in mente Marco che col suo cannone ( corrisponde ad una lunghezza
Omer 106), elastici in gomma sintetica, corti e potenti, starà spuntando l’asta
nuova che gli ho prestato, contro gli scogli.
Sicuramente il basso fondo sarà pieno di saraghi che mangiano tra le rocce e
l’agguato dalla superficie gli presenterà occasioni per tiri ravvicinati.
In quelle occasioni io preferisco impiegare una lunghezza del fucile
decisamente inferiore (96), con elastici in lattice ricoperti (da 24/26 cm)
abbastanza lunghi e nonostante ciò, a fine giornata mi ritrovo sempre con la
punta dell’asta rotonda!
Mi sto guardando intorno appoggiato sul fondo, pronto a muovermi nella
direzione di qualche specchiata, quando scorgo in una spaccatura buia un
piccolo pesce che si agita in maniera innaturale.
Era la pinna pettorale di un sarago di più di un chilo che devo aver spaventato
nella immersione precedente.
No non è possibile!
Bisogna saper vedere certi particolari e per far questo bisogna sfruttare
frequenti pause nella ricognizione subacquea e girare continuamente la testa
per controllare il circondario. La fretta e la scarsa concentrazione, spesso,
fanno perdere queste occasioni.
Non riesco a trovare il cappello più interessante, ma nella ricerca cado su un
altro sommo con una profonda spaccatura verticale che spacca la roccia come
una mela. Mentre scendo non lo vedo, ma sento che scoda, mi infilo nella
spaccatura e la scorro per qualche metro per togliermi dalla verticale del punto
di immersione, doveil pesce mi ha visto o sentito scendere, infatti ritorna: ho
azzeccato la direzione è un dentice di 2/3 chili e punta l’asta del mio fucile.
Questi predoni quando si sentono in prossimità di una preda, adottano la mia
tecnica di proseguire per inerzia senza muovere una pinna, immobili nell’alto
corpo compresso tutte le pinne aderenti al corpo.
Mi scappava da ridere! L’hai trovata la tua vittima, pensavo, mentre gli
“mollavo” l’asta in mezzo agli occhi.
Forse non coglierete la comicità della scena, ma un predatore convinto di
predare mentre viene predato, è come un ladro che nel momento di sfilare il
portafoglio su un autobus viene derubato della sua macchina!
L’assuefazione alle catture mi fa scoprire aspetti comici dove altri pescatori, al
contrario, si ecciterebbero.
Nel tentativo di trovare il cappello che cercavo, finisco un paio di volte sulla
sabbia, in una vera ghiacciaia: l’immersione nell’acqua torbida non da
riferimenti per la profondità raggiunta e non mi sono ancora convinto ad
acquistare un profondimetro digitale.
Controllo ancora una volta gli allineamenti in terra e finalmente cado sul
cappello laterale del sommo che cercavo. Non me ne accorgo subito, ma un
insolito movimento di pesce, istintivamente, mi schiaccia come un polpo sulle
rocce, perdo coscienza del mio stato, probabilmente esco anche da una
dimensione temporale perché una nuvola di saragoni mi viene incontro ed in
mezzo c’è lei!
Un’orata che la sospensione nell’acqua mi fa sembrare immensa. Stabilisco il
contatto telepatico e la guido docilmente in un crescendo che assomiglia ad un
orgasmo.
Dentro la mia testa c’è qualcuno che grida viene, viene, viene!
Speriamo che lei non le senta.
Alla fine vorrei facesse un po’ più la difficile, ma mi offre il fianco a tre metri di
distanza e, alla fine, mi accorgo di aver tirato senza aver pensato di farlo.
Torno allo stato cosciente con l’orata stretta nella mano sinistra mentre la
destra abbrevia la sua sofferenza con lo spillone del portapesci.
Sul sommo catturo ancora un paio di corvine, ma sono insolitamente scarico,
forse non ho più la baldanza e l’insaziabilità giovanile, così torno al gommone e
vado a controllare gli amici che mi confermano numerosi avvistamenti di orate
e di alcune spigole oltre agli immancabili saraghi.
E’ passata un’ora dall’ingresso in acqua e Marco ha nel portapesci tre bei
saraghi, mi ha confessato che avrebbe potuto catturarne di più, ma ha sempre
aspettato un’occasione di cattura più interessante.
Guardo la punta dell’asta: è salva!
L’orata è di tre chili e un etto ed è la più grossa che ho catturato in questa
stagione.