n.03 - Diario di pesca

4 Maggio, 2000

Diario di Pesca n°3
4 Maggio, 2000
Oggi, 4 maggio, con il mare forza olio ho attraversato il tratto di mare, spesso
tempestoso, delle Bocche di Bonifacio: canale che separa la Corsica dalla
Sardegna.
La settimana scorsa ho battuto la costa da Capo di Feno (punta sud della
Corsica) verso occidente, trovando l’acqua torbida e, conseguentemente, un
comportamento del pesce molto diffidente.
Interpretando correttamente il ruolo di cacciatore, costretto al nomadismo dai
tempi atavici dell’uomo primitivo, nelle mie battute mi sposto in continuazione
e questa volta la destinazione è un piccolo tratto di costa dove la pesca
subacquea è ancora consentita.
Il tratto di costa tra Capo Pertusato e Punta Sperono, al limite del parco
dell’arcipelago di Lavezzi.
Ho con me il fido scudiero Fulvio, un compagno di pesca è indispensabile per
praticare la tecnica di perlustrazione a staffetta nel sotto costa.
Fulvio, mente acuta, è spesso il mio contraddittorio in molte ricerche etologiche
che compaiono in alcuni miei articoli.
Capo Pertusato è posto al centro di un’anomalia geologica: 5 km della bianca
falesia calcarea di Bonifacio, ricca di grotte, incastonata come una gemma a
sud di un’isola dove il granito è dominante e caratterizza ovunque il paesaggio.
Questo tipo di roccia, solitamente, crea sul fondale marino degli interessanti
lastroni spaccati, al disotto dei quali…
Appena sceso in acqua, mi lascio cadere in verticale verso il fondo per far
uscire l’aria ancora intrappolata nella muta, a fucile ancora scarico, noto un
gruppetto di saraghi, sotto di me, che si dimostra stranamente incuriosito alla
manovra, ma appena carico l’arma si allontanano senza fretta.
Le condizioni ambientali sono le stesse della settimana scorsa a Capo di Feno :
acqua torbida, ancora fredda con corrente da levante come per buona parte
dell’anno.
I primi tuffi sono fondamentali per interpretare il comportamento del pesce:
dov’è dislocato, in che direzione si spostano i “corridori” e soprattutto che
atteggiamento assumono nei confronti del pescatore subacqueo.
Il primo contatto con quel gruppo di saraghi, però, mi fa presagire una
situazione diversa da quella di Capo di Feno.
Da tempo, ormai, ho notato che nelle condizioni di acqua torbida tutti i pesci
reagiscono in maniera esagerata ad ogni piccolo rumore, alzando la soglia di
allerta alle informazioni dell’apparato acustico/laterale. Questo
comportamento, in effetti, è assunto anche dall’uomo: al buio prestiamo
attenzione ad ogni piccolo rumore come se questo ci aiutasse a vedere.
I non vedenti, è risaputo, che sviluppano una sensibilità particolare alla
percezione dei rumori e al tatto, in un processo di integrazione delle
informazioni sensoriali dove quelle attive, ipersensibili, supportano quelle non
efficienti.
Queste ripetute osservazioni, mi hanno convinto che nell’acqua torbida è molto
difficile praticare l’agguato con buoni risultati perché è impossibile eliminare
tutti i rumori della nostra presenza ed è consigliabile praticare la tecnica
dell’aspetto.
La settimana precedente, difatti, nella costa 5 km più a ovest avevo preferito
impostare la battuta di pesca tenendomi a 10 metri circa dalla costa con lunghi
aspetti nel basso fondo, rivolto verso terra, dove avevo verificato che si
concentravano i pesci intenti ad alimentarsi.
Molti saraghi, sentendo le mie vibrazioni, nel guadagnare il largo mi erano
passati accanto e avevano favorito qualche bel tiro al volo.
Come spesso accade, riguardo alle abitudini ed al comportamento dei pesci,
ogni volta che ci convinciamo di aver raggiunto una certezza, veniamo subito
smentiti dall’esperienza, la volta successiva e dobbiamo correggere le nostre
supposizioni.
E’ di una di queste correzioni che tratta il diario di oggi e deve farci riflettere
sulla precarietà di ogni nostra teoria!
Torniamo al comportamento tranquillo e un po’ infingardo del nostro piccolo
branco di saraghi: era evidente , al primo tuffo, che l’atteggiamento era
diverso rispetto a quello della zona poco più ad ovest, così, un po’
istintivamente e senza una scelta razionale, decido di optare per un agguato
dalla superficie da condurre con molta calma, a bassa velocità tra i massi
affioranti della costa.
L’acqua torbida e il particolare tipo di fondale, però, non favoriscono
l’individuazione dei pesci: saraghi e salpe, cefali e occhiate, appena
percepiscono il mio spostamento in superficie, schizzano verso il largo
partendo dalle spaccature sotto i lastroni, senza darmi il tempo di individuarli.
Rallento ulteriormente l’andatura della ricognizione e rivolgo tutta la mia
attenzione alle cavità orizzontali sotto i lastroni: sia immergendomi lontano
dalla spaccatura e presentandomi a velocità rallentata al suo ingresso, sia
restando immobile in superficie, sopra il masso, con l’arma puntata verso il
basso ad attendere il “movimento” del pesce.
E’ in quest’ultima posizione che realizzo le migliori occasioni di cattura: i
saraghi escono, come per miracolo, da spacchi imprevedibili e non identificabili
dall’alto, per controllare il circondario con tutti i loro sensori attivati.
I più piccoli vengono quasi in superficie per il controllo più sfrontato e
irresponsabile, i più grossi si tengono vicino al fondo indugiando ancora
qualche secondo prima di allontanarsi.
Mi esibisco in tiri dall’alto verso il basso, a volte dalla superficie altre volte con
un modesto affondamento, fino a formare il solito gonnellino di code col
cavetto portapesci.
In una di queste posizioni, appoggiato sopra un masso, sto selezionando le
prede: “tu sei troppo piccolo, tu sei messo male, tu sei troppo nervoso e non
stai mai fermo”, quando un’orata di più di due chili esce imperiosa ed
arrogante, infilandosi in mezzo al gruppo di saraghetti come a rivendicare il
diritto del più grosso.
Non ho scritto questi due aggettivi solo per colorire la descrizione, in realtà la
mole, nella competizione alimentare, rappresenta il diritto alla prima opzione,
alla prima scelta nel cibo.
In mare non si scherza, il più grosso ha sempre ragione (altroché legge della
giungla, il mondo sommerso è la caienna della selezione naturale).
La presenza dei saraghi intorno ha ridotto la naturale accortezza della
magnifica preda che prima di venire arpionata ha accennato anche a venirmi
incontro.
Nel passetto tra l’isolotto di S. Antoine e terra, sotto capo Pertusato, dove la
parete liscia non lascia nascondigli, faccio l'errore di non variare la mia
strategia, preferendo un aspetto alla base della parete.
Spunta all’improvviso una spigola, cerco di fare “il polpo” attaccato alla roccia,
ma non interpreto bene la parte, anche perché ho il braccio del fucile contro le
rocce (scelta obbligata dalla posizione del sole tenuto alle spalle) e la spigola
se ne va!
L’isolotto in questione nel suo lato sud offre un ampio pianoro per poi
sprofondare in verticale sino a 15/20 metri: ho la pancia sulle rocce e faccio
fatica ad avere una profondità sufficiente ad immergere completamente la
maschera: il mento mi impiccia e a volte non riesco a inquadrare le decine di
saraghi che si “intrippano” in 10 centimetri d’acqua.
Nel frattempo si è alzato un leggero grecale che, a galla, rende instabile la fase
di puntamento.
Sono al limite della zona con divieto di pesca, così chiudo la battuta.
Penso di aver tirato 80 volte per una ventina di catture, quasi tutti saraghi di
buona taglia con la splendida orata!
Fino a questo punto della descrizione tutto nella norma di una buona giornata
di pesca, ma non mi accontento mai delle sole catture, voglio anche capire ciò
ch’è accaduto.
La finalità di questi diari non è mirata solo al racconto, ma ad informare il
lettore sulle conclusioni delle mie riflessioni sul comportamento dei pesci.
In certe giornate realizzo catture anche più eclatanti che non dicono nulla di
nuovo, dal punto di vista tecnico e da quello etologico, preferisco allora non
citarle, come, d’altra parte, non amo fotografare i miei carnieri quando sono
un’esibizione senza storia.
Perché nelle stesse condizioni meteo, a pochi giorni di distanza, in tratti di
mare contigui si può osservare un comportamento del pesce così diverso?
Quando ci immergiamo lungo una scogliera, a parte i ricordi delle pescate
precedenti, ignoriamo la storia recente del posto ed il verificarsi di alcuni eventi
che possono aver influenzato l’atteggiamento, oltre che la presenza delle
nostre prede.
Analizziamo, allora, alcuni di questi possibili eventi negativi, le reazioni che
determinano, per poi arrivare ad una mia ipotesi sulla giornata in questione.
- La presenza di tramagli posti lungo la costa limita il movimento dei pesci tra
gli alti fondali e il basso fondo in quel processo che io chiamo “l’elastico
alimentare” tra il largo e la costa. Questi sbarramenti sono ampiamente
riconosciuti da tutte le specie ittiche, frutto di un “apprendimento genetico”
che dura da più di 3000 anni. Molti pesci che si muovono a poca distanza
dal terreno, individuano la rete, sia di giorno che di notte, attraverso i
sensori della linea laterale determinando l’attuale pessima resa di questa
tecnica di prelievo. Per tutte le altre tecniche di pesca, dalla pesca
subacquea alla pesca con la canna, la presenza di un tramaglio calato vicino
alla costa rappresenta un’alta percentuale di possibilità di insuccesso.
- Il passaggio di un branco di delfini provoca il panico tra tutti i pinnuti,
allontanandoli dalla zona e in molti casi obbligandoli ad un rifugio in tana.
Tutte le volte che li ho incontrati, durante le mie battute di pesca, ho fatto
molta fatica a realizzare buone catture. Hanno un influenza negativa anche
su branchi di dentici che si tengono a distanza dai nostri appostamenti
all’aspetto. La loro presenza si individua dal caratteristico corto gorgoglio
dell’espirazione, se sono appena passati, potete notare i piccoli pesci che
solitamente vengono davanti alla maschera, tenersi alla larga con un
comportamento particolarmente scostante.
- Quando il sotto costa viene battuto sistematicamente da equipaggi
subacquei che pescano praticando la “trainetta” ( trascinati dal gommone
con una cima corta) il litorale si spopola e il pesce, o cambia zona, o
preferisce stazionare su fondali più profondi. L’azione della pesca
subacquea, unitamente ad altre tecniche di pesca, ha progressivamente
allontanato molte specie dalle zone poco profonde. Pur non incidendo sulla
massa complessiva degli stoks ittici, la “trainetta” esalta questo fenomeno
lasciando tracce anche per lungo tempo lungo i nostri litorali.
In conclusione, la costanza di tutti i fattori più importanti per la presenza ed il
tranquillo comportamento del pesce nei due tratti di mare limitrofi, mi fa
supporre che la zona tra Capo Pertusato e Punta Sperono, per un caso fortuito,
sia stata risparmiata da uno di questi tre eventi.
La zona di capo di Feno, inoltre, viene battuta sistematicamente sia dai
pescatori professionisti di Bonifacio che dai pescatori subacquei, presentando
un fondale più ricco di roccia, di conseguenza è più difficile trovare una
giornata lontana da un loro prelievo.
Tra Capo Pertusato Punta Sperono, invece, al largo si trovano solo poche isole
di roccia su sabbia e posidonia e la costa viene considerata meno pescosa.