n.02 - Diario di pesca

Diario di Pesca n°2
sabato, 14 aprile, 2000
Il sotto costa schiuma per l’onda lunga di scirocco che si frange giungendo dal
mare aperto, dove le condizioni del tempo sono ancora perturbate.
Nell’assenza di vento il mare liscio forma grandi dune in movimento che
sollevano al cielo il piccolo gommone sul quale navigo.
Sono le condizioni ideali per l’agguato nel basso fondo, tuttavia, mi sono alzato
prima dell’alba, con la curiosità di controllare se le ricciole, anche quest’anno,
sono andate a svernare sulla secca dei Monaci al largo di Caprera.
E’ un errore lasciarsi attrarre da queste fantasie, altri fattori dovrebbero
guidare la mia scelta sulla zona da battere. Ogni tanto, però, mi faccio
prendere dall’intuizione e dalla curiosità, abbandonando la mia proverbiale
razionalità.
All’alba arrivo accanto alla boa galleggiante che segnala la secca, circondato da
una numerosa famiglia di gabbiani.
Berte e cormorani galleggiano sull’onda lunga in un pacifico assembramento.
Quando non azzecco la scelta della zona di pesca, regolarmente, il destino mi
punisce duramente: l’acqua è molto torbida, boghe e menole in superficie
appena percepiscono la mia presenza, scodano rumorosamente verso il fondo,
mettendo in allerta tutti gli altri pesci.
In profondità è buio, così, mi trovo nelle condizioni ottiche peggiori per le
catture in caduta e per realizzare l’avvistamento di un pesce: la retina dei miei
occhi, abituata alla intensità della luce in superficie, ha bisogno di alcuni
secondi per adattarsi alla luminosità crepuscolare del fondo. Prima di forare
con lo sguardo la foschia passano alcuni secondi determinanti per posizionare
il fucile in allineamento di tiro.
Non mi accorgo di planare su una cernia che quando scoda mi fa gelare il
sangue.
Branchi di saraghi pizzuti e di saraghi fasciati coprono i cappelli della secca,
con l’acqua trasparente non ci sarebbero problemi di cattura, sia all’aspetto che
all’agguato, ma nell’acqua torbida anche le castagnole si tengono a distanza di
sicurezza.
Rinuncio a cadere sui sommi, per non allontanare i pesci che vi si raccolgono,
optando per degli aspetti estenuanti alla base delle guglie, fucile e sguardo
rivolto verso l’alto, per mirare in controluce. Questa strategia viene premiata
con tre
“ fasciati” e un “pizzuto”.
Ad un certo punto dal muro di sospensione si materializzano tre dentici che mi
colgono impreparato. Teso come sono ad individuare i saraghi nel torbido, i
pescioni mi trovano scoperto e impreparato, così svaniscono nel nulla.
Finalmente mi convinco di essere nel posto sbagliato e dopo mezz’ora salpo
l’ancora per rientrare a porto Cervo.
Sulla rotta del ritorno decido di fare ancora un tentativo sull’unico cappello
della secca delle Bisce che resta fuori dal perimetro del parco dell’arcipelago de
la Maddalena. Per fatalità, incontro quella ricciola che doveva trovarsi sulla
secca dei Monaci: 3.7 chili.
Solo pochi tuffi per verificare se era sola e poi via di nuovo verso la schiuma
del basso fondo.
Davanti al porto, sulla secca del Cervo mi lascio ancora tentare dalla nostalgia
di controllare quel branco di corvine…
Sono sicuramente le nipoti di quelle che ho incontrato per la prima volta
quindici anni fa e che ho selezionato anno dopo anno! Il tempo di infilarne una
e di constatare con soddisfazione che il branco si è moltiplicato e ora conta una
cinquantina di individui.
Lascio le corvine riprendersi dello shock dell’unico tiro del fucile e dopo un
miglio di navigazione, senza indugi, mi butto nella risacca di punta Capaccia.
In questo tratto di costa aggiungerò un tassello al quadro delle mie conoscenze
sul comportamento del sarago.
Sole alle spalle, procedo verso nord, il braccio destro, libero verso il mare
aperto, la mano sinistra aggrappata alle rocce a bloccare il corpo ritmicamente
sospinto dalle onde.
Tutto secondo le regole messe a punto in tanti anni di esperienza!
I frutti non tardano ad arrivare: oltre ad alcuni saraghi cade vittima anche
un’orata.
L’agguato in queste condizioni mi diverte e per di più non mi affatica: sono
sufficienti apnee di 30/45 secondi per giungere ad una cattura.
Nella gestione di lungo periodo delle proprie risorse fisiche è importante anche
ottenere il miglior risultato con il minimo sforzo. Nulla di nuovo, però, rispetto
a ciò che ho già scritto e filmato nei primi video sull’agguato.
Questa strategia così divertente, tuttavia, ha l’inconveniente del ritorno passivo
lungo una zona appena battuta.
Quando uso il gommone, a volte, lascio una delle due cinture di piombi che
porto in vita su uno scoglio e percorro lo stesso tragitto pescando sulla
batimetria più profonda, ma un fondale interessante sotto costa non sempre è
promettente anche più al largo.
Nel caso specifico della zona in questione, appena fuori la parte rocciosa del
sotto costa, il fondo diventa sabbioso alternandosi a vaste distese di posidonia,
che in qualche insenatura propone anche agglomerati di sassi sparsi alla
rinfusa.
Viste le condizioni del fondale, dopo aver esplorato un chilometro di costa,
decido in un rientro rapido, nuotando con vigore e non badando al rumore
prodotto dalle pinne e dallo sciabordio dell’acqua intorno al corpo.
L’evento: In corrispondenza di un gruppo di sassi frammezzati a ciuffi di
posidonia, proprio sul limitare della distesa di sabbia, un gruppetto di saraghi
mi viene incontro nuotando velocemente al confine tra la sabbia, le posidonie
e le prime rocce.
Alcuni dopo una breve sosta, con la stessa strategia di moto, passano oltre e
scompaiono oltre lo scenario visibile, altri zigzagando tra rocce e piante si
infilano in nicchie modeste tra qualche sasso.
Nel branco individuo subito tre o quattro esemplari di buona taglia: uno di loro
si rifugia in tana proprio sotto di me, a 5/6 metri di profondità. Sono ancora
disorientato da questo comportamento e quando mi affaccio nella nicchia tra
sabbia e roccia, non ho il riflesso di tirare subito e riesce a scappare!
Un altro sarago passa più al largo rasente le rocce e le posidonie, senza mai
sconfinare nella distesa di sabbia, come un cane bastonato.
Un gruppetto di altri due si sono letteralmente incollati al profilo di un sasso,
l’ultimo rispetto alla batimetria ideale che collega le formazioni rocciose.
Questa volta sono pronto: caduta rallentata senza capriola, braccio disteso,
uno di loro, la pancia sulla sabbia, se ne va alla chetichella da dove è arrivato,
ma l’altro invece di fuggire dalla parte opposta, mi viene incontro…
Questo è l’accaduto, ora la mia analisi e la mia interpretazione!
In situazioni di fondale simile a quello appena descritto, difficilmente
qualunque pesce si avventura allo scoperto, di giorno, su una distesa di sabbia.
All’alba, sulle dighe prospicienti il porto di Chiavari, in Liguria, mi era capitato
spesso di osservare stupito il costituirsi di gruppi eterogenei di pesci,
probabilmente giunti , di notte o poco prima dell’alba, a procurarsi il cibo e alle
prime luci dell’alba, in procinto di attraversare l’estensione di sabbia che li
separa dai rifugi profondi.
Orate e saraghi in formazione ravvicinata e compatta, per sfruttare il
vantaggio difensivo di appartenere ad un branco, guadagnavano il largo con
cautela.
Nel Mediterraneo, molte specie “fanno l’elastico” tra gli ambienti profondi e
sicuri, e il sotto costa dove trovano cibo abbondante che , di giorno però,
abbandonano perché è un’area troppo luminosa e vulnerabile.
Per ragioni ataviche tutti i pesci curano con attenzione il loro mimetismo con
l’ambiente e assumono atteggiamenti tranquilli solo in prossimità di rifugi o
facili vie di fuga.
La sabbia è una superficie riflettente che evidenzia un pesce sia in orizzontale
che in verticale e lo rende facile preda di ogni aggressione.
Tornando all’evento in questione, il mio procedere rumoroso deve aver prima
attirato (vedi articolo sulla territorialità) e poi spaventato il branco di saraghi
che non sentendosi sicuri nell’attraversare la distesa di sabbia, e non avendo
rifugi vicini sotto costa, sono rimasti bloccati dal rumore soprastante.
Il lettore potrebbe chiedersi come mai i saraghi non si siano dati subito alla
fuga nelle due uniche direzioni possibili parallele alla costa.
In parte l’hanno fatto, solo una piccola percentuale di loro è rimasta sul posto.
Anche per questo comportamento apparentemente inspiegabile ho una mia
interpretazione.
Quando si è verificata questa circostanza il sole era allo zenit e per gli ormai
noti problemi legati alla pupilla non contrattile e assenza di palpebra che
affligge buona parte dei teleostei, i saraghi non potevano guardare verso l’alto
senza essere abbagliati dai raggi diretti del sole e da quelli riflessi per effetto
specchio dalla superficie.
I pesci posti in obliquo rispetto alla mia posizione, individuato il pericolo si sono
allontanati subito, mentre gli altri probabilmente non riuscendo a distinguere la
mia sagoma sono rimasti in attesa dell’evolversi della situazione, rincantucciati
in una nicchia provvisoria.
Nessuno di loro si è allontanato sull’estensione di sabbia!
In verità, molte altre volte mi sono trovato in situazioni analoghe e con molto
opportunismo ho realizzato catture insperate, mai però, ero riuscito a
collegare i due fattori che in questi casi hanno influenzato il loro
comportamento: il sole perpendicolare sull’acqua e la barriera rappresentata
dalla distesa sabbiosa.
Quando il pesce ha una limitazione della vie di fuga e non può comportarsi
secondo schemi automatici, dovendo scegliere una strategia di difesa
dimostra incertezza e tutti i limiti del suo piccolo cervello.