La Cultura del Dentice (Parti 1,2,3) Completo

Prima Parte

Preambolo

Appoggiato su un fondo granitico a venticinque metri di profondità osservo con attenzione gli spostamenti dei piccoli pesci nella colonna d'acqua che dopo una prima fuga durante la mia discesa verso il fondo si sono avvicinati fino a circondarmi: le castagnole in formazione compatta immobili sopra la mia testa, mentre un branco di piccole boghe mulina più distante dal mio corpo.

Attendo un predatore.

Attraverso il filtro dei piccoli pesci riesco a distinguere un branco di dentici che si materializza al limite del visibile, alla fine mi puntano.

Le castagnole i di scatto aprono la loro formazione schiacciandosi sul fondo e le boghe escono dal campo visivo della maschera nella direzione dei miei piedi.

Si avvicinano lungo una direttrice perfettamente rettilinea, davanti un drappello di individui di piccola taglia , dietro i pesci più grossi sembrano seguire indolenti le mosse dei giovani esemplari che chiamerò: i “ricognitori”.

Una scena già vista migliaia di volte cui segue il mio gioco sofisticato di acquattarmi , scivolare in una posizione più defilata del terreno per incuriosire i pesci più grandi , più diffidenti.

E' una strategia elaborata che punta sul comportamento territoriale dei dentici e che per primo ho descritto nel libro “Aspetto dinamico al dentice”

Un comportamento classico, penserete , caratteristico di questa specie.

Quante volte ho filmato un controllo territoriale che fa riferimento a questo modello di avvicinamento, di ispezione. Il mio archivio videografico abbonda della documentazione di catture che fanno seguito a questo schema di comportamento collettivo .

E' controllando queste documentazioni videografiche che risalta la differenza con altri piani di approccio dei dentici, durante questa fase così emozionante per chi la vive nascosto dietro una roccia o semplicemente appostato sullo strapiombo di una parete rocciosa.

Analizzare questi schemi, però, è irrilevante rispetto alle considerazioni che voglio fare : c'è quello “a ventaglio” quello a piccoli drappelli che prima mulinano intorno all'appostamento, schemi che possono far supporre strategie diverse funzionali al tipo di territorio.

Gli appostamenti, i luoghi dove vengono impostati questi “aspetti”, nei miei trent'anni di caccia al dentice, si sono ripetuti centinaia di volte negli stessi luoghi e lo schema del controllo territoriale operato dal branco a volte si è rivelato lo stesso con piccole variazioni, altre volte completamente differente.

La variabilità dello schema in funzione del sito, a mio avviso, è da escludere: se i dentici hanno un condizionamento innato a seguire uno schema predeterminato caratteristico per ogni configurazione del territorio, ad ogni appostamento dovrebbe scattare un identico schema di avvicinamento.

Forse chi non pratica la caccia al dentice non sa che individuato un appostamento di successo, questo non si cambia, a volte sulle secche al largo della costa si eseguono, ad esempio, dieci appostamenti in punti topici che sono sempre gli stessi, se non portano a buoni risultati si cambia sito , altra secca altri appostamenti già eseguiti centinaia di volte. La tecnica dell'aspetto non è così creativa ...e l'appostamento che ha regalato una bella cattura non si cambia mai!

Quindi il cacciatore di dentici è un abitudinario: applica la tecnica della pesca all'aspetto sempre negli stessi posti , gli stessi spacchi nella roccia , a ridosso degli stessi dossi sul fondo e i branchi di dentici si avvicinano sempre in una maniera differente, tranne ...quando è lo stesso branco!

Se ha colonizzato quella secca , il branco risponderà nello stesso modo, seguendo uno schema di controllo territoriale che, nel breve periodo, è sempre identico, finché, in maniera creativa interpreterà la presenza estranea come pericolosa e non eseguirà più il controllo territoriale .

Può capitare che qualche individuo si trovi più dappresso all'appostamento del pescatore, in questo caso, saltano i riferimenti oggettivi e le osservazioni riportate, in ragione della casualità della vicinanza o meno di alcuni individui staccati dal branco, ma se il branco è compatto e si innesca il controllo territoriale , lo schema di avvicinamento per ogni branco è lo stesso, non solo tende a varia re da branco a branco.

Questo significa che ogni branco ha sviluppato una “cultura” differente, che vuol dire anche un modo diverso di cacciare , strategie di caccia diverse, comportamenti collettivi diversi.

Il controllo territoriale esercitato da buona parte dei pesci, sfruttato dal pescatore subacqueo nella pesca all'aspetto, è un preliminare di solito aggressivo nell'intento di individuare una preda, quando invece è difensivo i pesci non si avvicinano ma si aggirano ai margini di un perimetro di grande diametro.

L'azione coordinata del controllo territoriale di un branco perciò è presumibilmente il preliminare di un'azione di caccia.

Questa considerazione è confermata da altre osservazioni su azioni di caccia vera di alcuni branchi cui mi è capitato di assistere (dove non ero io la causa innescante ma le vere prede), purtroppo, l'osservazione si è ridotta solo a qualche circostanza fortuita, troppo poco per poter formulare regole e schemi di caccia di quel branco, tuttavia, posso confermare che i preliminari dell'attacco e il controllo territoriale si rifanno a modelli simili e per quanto riguarda le mie osservazioni sono caratteristici di ogni branco che da questo punto di vista rivela una identità specifica.

La cultura, però, presuppone la comunicazione.

Come comunicano i pesci

La comunicazione tra individui della stessa specie gregaria è fondamentale per le diverse funzioni vitali, di cui la prima, quella riproduttiva, sappiamo funziona col rilascio nell'acqua di feromoni che vengono percepiti dagli individui dell'altro sesso attraverso il sistema olfattivo, ma per le altre esigenze intervengono altri sensi come la vista che avvisa i conspecifici col colore della livrea dell'appartenenza ad un determinato sesso. In prossimità del periodo riproduttivo, inoltre, il maschio di molte specie di pesci assume una livrea dai colori sgargianti nell'intento di informare le femmine della disponibilità all'accoppiamento.

Alcuni pesci hanno evoluto una forma di comunicazione semplice attraverso le onde sonore, non una primitiva fonazione come svilupperanno i loro discendenti nell'albero evolutivo, gli animali terrestri , ma rumori caratteristici come quelli di alcuni sciaenidi o pesci grugnitori di cui la corvina (pesce molto noto ai pescatori subacquei ) fa parte, ma anche altri insospettabili pesci “fanno rumore”: la musdea pesce del profondo delle tane nel terreno, difende il territorio con una specie di squittio, ma chissà quanti altri pesci producono rumori di bassa frequenza facili da percepire sott'acqua attraverso organi sensibili quali la linea laterale e l'apparato acustico interno dei pesci.

Ma il sistema di comunicazione più impiegato dai pinnati è l'atteggiamento, l'aspetto esterno e mentre l'assunzione di un colore particolare nella maggior parte delle volte non è intenzionale, ma un riflesso istintivo come nel caso del mimetismo criptico o una colorazione indotta da ormoni specifici in prossimità del periodo riproduttivo, la postura del pesce , la dinamica di movimenti rituali, è il metodo principale di comunicare stati d'animo, messaggi, informazioni ai conspecifici.

Con gli animali appartenenti ad altre specie invece c'è una incomunicabilità totale tranne che per messaggi molto semplici tipo : “sono velenoso”, “vattene” .

Il codice di comunicazione cosciente perciò è il movimento, in quelli che gli etologi chiamano

ritualizzazioni che , a mio avviso, rappresentano solo la forma più evidente, conosciuta, studiata di questa forma di comunicazione che avrà indubbiamente espressioni sconosciute a noi umani.

Immaginate un extraterrestre più evoluto che volesse studiare i nostri mezzi di comunicazione, gli sfuggirebbe di sicuro il gesto di sollevare il mento in maniera repentina che in tutte le nostre culture significa: “vai!”

Solo chi balla coi lupi ne capisce il linguaggio ed io che ho ballato con i dentici vi dico: esistono animali in grado di esprimersi in maniera complessa solo col linguaggio del corpo e di comunicare messaggi per modificare comportamenti ed azioni di caccia creative.

Ritengo, perciò, che il dentice abbia una teoria della mente che elabora astrazioni come schemi di caccia o di difesa elaborati coscientemente al di là dei semplici innati schemi ripetitivi.

La cultura di un branco

Quando si parla di cultura, di solito, ci riferiamo al comportamento e alle abitudini di un gruppo di umani, non a quelle degli animali.

La storia della nostra specie fin dalle origini ha espresso culture diverse: i nostri antenati prima scheggiavano le pietre i cosiddetti chopper e il modo differente di ottenere e ricavare queste schegge taglienti rivelava un impiego, un uso, specifico dell'utensile cui gli studiosi antropologi, in molti casi, hanno associato una particolare cultura del gruppo che le realizzava, poi trasmessa di gruppo in gruppo fino a caratterizzare l'epoca vissuta da tutti i gruppi contemporanei.

Lo strumento, l'oggetto, era foggiato secondo un progetto e la sua forma definitiva lo metteva in grado di compiere una determinata funzione, quindi l'utensile prevedeva un processo mentale che, alla fine, per imitazione, era acquisito da tutti i componenti del gruppo.

La facoltà di costruire utensili, si è visto, non appartiene alla sola specie umana, è risaputo che gli scimpanzé sono in grado di fabbricare strumenti con le foglie , il legno e la pietra, ma non sono gli unici animali con queste potenzialità mentali.

Come vengono condivise queste conquiste mentali nel gruppo di conspecifici?

Per imitazione:

Si parte dal nucleo primario di ogni specie: madre/figlio, la madre del piccolo scimpanzé insegna al figlio a costruire con un ramo spezzato pulito delle foglie, il bastoncino da infilare nella spaccatura del tronco dell'albero morto per catturare le termiti che vi hanno fatto il nido.

E' la capacità di una progettazione astratta che viene trasmessa, insegnata, condivisa, prima tra madre e figlio poi tra tutti gli individui del gruppo con i quali si interagisce.

Non si tratta di capacità innate, ereditate per via genetica, ma capacità “apprese”

Come il primo individuo sia riuscito a inventare l'utensile è un mistero della sua mente, più facile è capire il processo della condivisione cui però segue un altro principio: c'è condivisione quando c'è vita sociale.

L'hardware è sicuramente trasmesso per via genetica ma il software viene appreso per imitazione.

L'utensile presuppone la presenza delle mani e quando l'evoluzione delle specie ha dotato gli animali di mani è stato compiuto un grande passo avanti nella direzione dell'intelligenza , tuttavia è noto che alcuni fringuelli cacciano gli insetti annidati nei tronchi usando dei bastoncini modellati a tale scopo col becco.

Quindi la cultura degli utensili non ha bisogno di “mani” e non mi stupirei affatto se un giorno vedessi un sarago spaccare con una pietra in bocca il guscio di una patella, mentre alcuni pesci già inseriscono pietre tra i gusci dei bivalvi per alimentarsi del mollusco.

Finché è il singolo individuo che usa l'utensile è abilità individuale quando lo fanno tutti i conspecifici è cultura.

Origini del comportamento animale

Il comportamento animale è una somma di moduli comportamentali innati?

  1. Lorenz e Pavlov in maniera diversa, hanno dimostrato attraverso l'imprinting di oche neonate, il primo e il riflesso condizionato dei cani al suono di un campanello che veniva associato al cibo per condizionamento, nel secondo, che il comportamento animale è, in alcuni casi, la conseguenza di comportamenti preconfezionati codificati nel DNA, in altri, di comportamenti appresi per esperienza diretta.

Anche negli esseri umani ci sono comportamenti istintivi e comportamenti appresi.

Sappiamo che il riflesso istintivo all'apnea quando si immerge il viso è presente, addirittura nel neonato umano, come quello di suggere il capezzolo, questo comportamento è sicuramente codificato nel DNA di tutti gli individui della nostra specie.

Sono stati identificati anche alcuni geni responsabili di comportamenti specifici della drosofila (moscerino della frutta).

Non si può pensare, tuttavia, che la grande varietà di comportamenti sia codificata completamente nel DNA dell'animale, la maggior parte dei comportamenti animali sono appresi nel corso della loro vita con una plasticità ben superiore a quella che possiamo immaginare.

Ogni animale ha la capacità di correggere il suo comportamento sulla base della sua esperienza diretta.

Che dire dei dentici che hanno assistito alla cattura di un compagno di branco? Diventeranno ancor più diffidenti, altro che zombi votati al suicidio di fronte al pescatore subacqueo! L'istinto al controllo territoriale in questo pesce viene subito represso volontariamente dall'esperienza diretta di aver assistito alla cattura del compagno .

L'apprendimento e i riflessi condizionati che si instaurano dopo esperienze simili, non sono conseguenti alla sola esperienza individuale, ma anche alle informazioni trasmesse dai conspecifici, con posture e atteggiamenti specifici.

I neurologi hanno studiato le regole sulla permanenza del riflesso condizionato e l'eventuale rafforzamento che rende a volte difficile la cattura di esemplari anche a distanza di molto tempo (come la stagione successiva nel caso dei dentici), mentre a volte, sembra lo abbiano dimenticato

La materia di studio comunque molto complessa.

La realtà dei branchi di dentici osservata

La realtà osservata dai pescatori subacquei che praticano con metodo la caccia al dentice non è sempre quella del grosso branco, a volte si incontrano piccoli drappelli e questo può disorientare chi vuole studiare il comportamento dei branchi.

Se osserviamo le società umane primitive, ma anche quella di certi mammiferi terrestri come i leoni o le iene, scopriamo che nella maggior parte dei casi le loro società sono ben strutturate e fanno riferimento a leggi ben precise, articolate, dove i legami di parentela, ad esempio, svolgono ruoli fondamentali, tuttavia, sarebbe erroneo supporre che tutti i gruppi di individui seguano la regola del grosso branco strutturato. Conosciamo bene il caso di maschi adulti di leone (consanguinei) che cacciano in solitario e altri casi di giovani coppie dei due sessi che per ragioni a noi sconosciute vivono e cacciano appartate.

Spesso d'inverno quando la temperatura del mare raggiunge i livelli più bassi si incontrano grossi dentici solitari o in coppia che praticano lo sciacallaggio nel basso fondo o si limitano alla caccia ai polpi.

Quindi accettiamo certe regole degli animali sociali senza schemi vincolanti!

Ma perché in certe specie i conspecifici si associano?

La vita in branco offre garanzie di sopravvivenza superiori, in certi casi, la competizione alimentare con altri predatori rende impossibile la sopravvivenza all'individuo solitario esponendolo agli attacchi delle altre specie predatrici. Nelle iene, la femmina cacciata dal branco è destinata a morte certa.

L'associazione di conseguenza è una regola vincente ma non vincolante, occasionalmente, si formano gruppi più piccoli fino al singolo individuo per ricostituirsi nel grosso branco ad esempio durante il periodo della riproduzione. Il rapporto col branco di riferimento, di origine, può essere saltuario, ma è da quello che origina la cultura di ogni singolo individuo.

I dentici dell'oceano Atlantico quando è stato aperto il canale di Panama, non conoscevano i velenosi serpenti marini del Pacifico che invece i dentici di quell'oceano conoscevano bene e sono stati decimati, dopo il tentativo di predazione, dal morso dei rettili.

Nella cultura dei dentici dell'oceano Atlantico mancava la conoscenza dei rettili marini che non esistevano nel loro ambiente.

Seconda Parte

Il cervello animale e la cultura di una specie

In questo capitolo svilupperò una teoria personale sulla cultura degli animali basata sulle mie osservazioni di pescatore -etologo e sugli studi di ricercatori, di professione etologi, biologi e neuroscienziati, di cui alla fine di questa trattazione riporterò la bibliografia di alcuni studi .

Non è necessario un grande cervello per sviluppare una cultura autoctona in un gruppo di animali della stessa specie.

L'esempio del polpo

Il cervello del polpo ha un numero molto basso di neuroni 800.000 circa, contro i miliardi di neuroni dei vertebrati superiori, ma dimostra una intelligenza sorprendente per un non-vertebrato .

Il polpo grazie al controllo delle cellule pigmentate della sua livrea ( cromatofori ) riesce cambiando colore a comunicare con i suoi simili: quando è in collera assume una colorazione rosso cupo , quando è spaventato letteralmente, sbianca.

E' stato dimostrato che questo cefalopode ha la capacità di imparare se soggetto a test di apprendimento per associazione: riesce ad apprendere osservando il comportamento di un altro individuo della stessa specie. E' stato fatto un esperimento sorprendente nell'acquario di Napoli con due polpi in due vasche diverse dalle pareti di vetro: uno di questi ha imparato ad aprire un barattolo di vetro con una preda all'interno (senza aver dimostrato di saperlo fare prima) solo osservando il conspecifico che lo faceva nell'altra vasca posta a vista.

Il caso del polpo è sbalorditivo perché è un animale tendenzialmente solitario ed ha una scarsa vita sociale mentre, di solito, si assiste ad apprendimento per imitazione nelle specie che hanno intesa vita sociale.

E' difficile supporre che il polpo nasca con l'istinto di aprire i barattoli di vetro chiusi con un tappo a vite con dentro una preda...possiamo ragionevolmente essere certi che aprire un barattolo o attività similari non siano un comportamento istintivo, innato.

Approfondendo l'esempio del polpo: una pesca particolare di questo cefalopode così apprezzato dall'uomo e dai dentici, viene effettuata lungo le coste campane, prevede di legare lungo una lunga cima una serie di brocche di terracotta nelle quali il polpo trova rifugio se i recipienti in terracotta vengono adagiati nei fondali sabbiosi o di posidonie dove scarseggiano i nascondigli.

Il polpo che vive in quei tratti di costa ha sviluppato la cultura di fare la sua tana nelle brocche.

Mi risulta che questa cultura appartenga anche ai polpi dei mari spagnoli ma non di altre zone del Mediterraneo. Avanzo l'ipotesi che lungo quei litorali per millenni, sul fondo ci sia stata abbondanza di rottami di brocche e recipienti simili in terracotta frutto della colonizzazione di quelle coste da parte delle civiltà greche, etrusche e romane e che abbia appunto sviluppato la cultura di trovare rifugio tra i cocci delle anfore delle quali riesce ad imitare molto bene il colore.

Questa cultura in altri siti non ha alcun riscontro pur trovando sul fondo abbondanza di cocci d'anfora (come è ad esempio nella mia isola, la Sardegna dove il polpo si cattura con le nasse).

L'esempio del polpo è ancor più straordinario perché, di solito, all'intelligenza animale si associa il comportamento elaborato da una parte del cervello dei vertebrati : la neocorteccia.

Il cervello del polpo, invece, è strutturato in maniera diversa da quello dei vertebrati: è formato da una serie di gangli nervosi connessi tra loro da un “cordone” e collegati ad un addensamento di neuroni, che di fatto è il vero cervello, con numerosi lobi interconnessi proprio sopra l'esofago.

Una architettura del cervello, quindi, diversa da quella dei vertebrati e da quella degli insetti.

Nel complesso però, è dimostrato dagli etologi che tutte queste forme cerebrali portano alla capacità di inventare comportamenti nuovi attraverso una forma semplice di comunicazione, scambi di informazioni che portano ad una cultura comune degli individui che condividono lo stesso biotopo.

La comunicazione

Cosa ha distinto la nostra specie dagli altri animali è stata, per certo, il linguaggio.

Per molto tempo la capacità di produrre una funzionale fonazione articolata è stata vista come l'unica possibilità per un gruppo di animali di giungere ad elaborare una forma di cultura, ora però, gli etologi pensano che anche attraverso altre forme di comunicazione si possa giungere a costruire e identificare una cultura animale intesa come l'insieme delle conoscenze acquisite nella loro vita da un gruppo di conspecifici.

E' corretto, però, che faccia notare come alcuni etologi siano tuttora convinti che tutta la comunicazione animale sia il risultato di stati fisiologici interni non controllati da alcuna forma di intelligenza cosciente.

Personalmente, ma con molta umiltà, sono di parere contrario arrivando a supporre una particolare forma di espressione anche negli animali come i pesci privi di fonazione articolata, si tratta di un linguaggio comportamentale che è comunque intenzionale e per le osservazioni che ho potuto fare , cosciente.

L'impossibilità di comprendere da parte di noi umani certe forme della comunicazione animale non deve portarci a supporre che non ci sia alcuno scambio di informazioni, anzi a volte i “messaggi” sono talmente semplici da coinvolgere anche animali di altre specie.

Sono rimasto veramente sorpreso visionando un video dove alcune cernie brune e un branco di dentici cacciavano in sincronia piccoli pesci (presumibilmente latterini) su un fondale roccioso di piccoli massi: solo un cacciatore può capire che non si trattava del solo opportunismo alimentare, ma che la predazione di una specie era coordinata e funzionale alla strategia dell'altra specie.

Sullo stesso argomento, cito appena il coordinamento dell'azione di caccia di certi branchi di delfini con quella dei pescatori umani, anche se in questo caso si tratta di mammiferi col cervello più grande tra i vertebrati in rapporto alla massa corporea. Dal racconto dei pescatori, sembra addirittura che riescano a comunicare con i delfini lo schema di caccia che conduce i pesci nelle loro reti I delfini verrebbero successivamente ripagati con parte del bottino.

La comunicazione, in tutti i casi delle specie animali studiate è il mezzo attraverso il quale si forma una cultura animale.

Il caso di un gruppo di animali della stessa specie che viva in una reciproca dipendenza deve far supporre che il loro cervello abbia modelli di comportamento simili, essi devono poter “sentire” collegialmente, “pensare” contemporaneamente le stesse astrazioni, gli stessi schemi mentali.

Perché se un animale ha un modulo di comportamento individuale che coordina con quello di un conspecifico e si verifica che tale modulo non è semplicemente ripetitivo ma ecologicamente adattativo, il gruppo dei due individui esprime già una cultura, una primitiva forma di intelligenza collettiva.

Voglio citare ancora un esempio che può illustrare meglio cosa intendono gli etologi per comunicazione intenzionale di animali non dotati di fonazione: le lucciole.

Lloyd nel '86 ha studiato due specie di questi coleotteri: i Photinus e i Photuris due generi presenti in America. Il Photinus maschio cerca la femmina emettendo un bagliore di mezzo secondo ogni sei secondi, la femmina ricettiva risponde con una luminescenza della stessa durata, il tutto prosegue fino all'incontro...A volte però rispondono con lo stesso messaggio le femmine del genere Photuris di dimensioni maggiori che hanno un comportamento predatorio e finiscono per mangiarsi il maschio. Lloyd ha constatato che il Photinus allora cambia leggermente le sue intermittenze luminose, quindi ciò che sembrava un modulo istintivo subisce un cambiamento creativo. Di certo entreranno in gioco anche l'emissione di odori specie-specifici.

Tradizionalmente si riteneva che gli insetti avessero comportamenti fissi e stereotipati, ma l'attuale conoscenza dei comportamenti sociali delle api con il linguaggio della danza in volo ha dimostrato il contrario.

Trasferiamo questa considerazione e questo esempio ai pesci: può essere che nell'abbassare la pinna dorsale il dentice voglia comunicare (come ho avuto modo di pensare): “io attacco”.

L'individuo che non lo fa, lascia la pinna dorsale naturalmente inclinata indietro, mentre se vengono portate ritte in verticale, il dentice può comunicare: “ pericolo”e mettere in allerta i conspecifici come fanno le scimmie urlando.

La conclusione è che le dimensioni del cervello e la sua struttura non sono vincolanti per l'intelligenza di una specie animale e che tutti più o meno ne manifestano una che si concretizza in una cultura specifica per ogni gruppo diverso di individui.

Il meccanismo della selezione naturale e della sopravvivenza dei più adatti è lento e mal si presta ad un adattamento rapido a mutate condizioni ambientali: una eruzione vulcanica che cambia il biotopo o l'intervento dell'uomo come la semplice apertura del canale di Panama già citato. Quindi per questa selezione è necessario che i cambiamenti si manifestino lentamente per permettere alle specie l'adattamento attraverso le variazioni spontanee che si possono verificare anche da una generazione all'altra.

La cultura però non evolve con i tempi lungi della selezione darwiniana , basta che un individuo acquisisca un nuovo comportamento adattativo ed ecco che gli altri possono impararlo rapidamente e i singoli scampati al morso del serpente marino insegnare ad esempio ai dentici dell'Atlantico che migrano nel Pacifico che in quell'ambiente ci sono affari stretti e lunghi il cui morso è mortale . Come il comportamento dei dentici scampati al pescasub, insegnare ai dentici del Mediterraneo che quella massa scura immobile sul fondo che fa “Tum , Tum...” è particolarmente pericolosa in ragione della cosa stretta e lunga che spunta al suo esterno.

Terza Parte

Varie culture, vari comportamenti, varie tecniche di caccia.

Quando ho messo in commercio il primo video sull'aspetto dinamico al dentice, un bizzarro personaggio della pesca subacquea mi ha fatto subito pubblicità sul web raccontando di essersi fatto delle grasse risate guardando il video (che non aveva comprato) e che i dentici secondo lui non si catturavano affatto con le tecniche che avevo mostrato in quel video.

Non voglio in questo testo discutere dell'invidia che offusca la mente dei pescatori quando parlano dei colleghi, ma riconoscere una parte di veridicità di quanto affermato dal personaggio in questione.

Il documentario sull'aspetto dinamico al dentice, in verità, non voleva stabilire delle regole, degli schemi precostituiti su come condurre l'aspetto al dentice, ma mostrare come riuscivo a catturare questo predatore lungo le coste della mia isola. L'aggettivo “dinamico” aggiunto al termine “aspetto”, infatti, voleva esprimere l'adattamento al comportamento del dentice che il pescatore subacqueo deve adoperare quando insidia questo sparide.

Il lettore che ha seguito lo sviluppo della mia teoria fino a qui espressa, avrà già capito il concetto pregnante di tutta questa esposizione : ogni branco sviluppando una diversa cultura ha bisogno anche di una diversa tecnica di caccia da parte del subacqueo.

I moduli di comportamento

lo schema di caccia

Riguardo questo argomento porto solo due esempi (riferito ovviamente alle mie osservazioni) anche se la casistica in effetti sarebbe più ampia.

L'attacco di un branco di dentici di taglia eterogenea su un banco di pesci preda e il controllo territoriale che questo svolge intorno alla postazione del pescatore subacqueo risponde spesso allo stesso modulo: i giovani individui, i “ricognitori”, vanno in avanscoperta e il grosso del branco segue a distanza l'evoluzione della ricognizione.

E' per me difficile distinguere in questo comportamento un modulo cosciente

del branco, dalla semplice diffidenza degli individui adulti che lasciano i giovani inesperti andare avanti, anche se propendo per la strategia cosciente.

Perché gli adulti dovrebbero avventarsi dopo sulla preda, quando in tutti i predatori si saziano prima gli individui più grossi?

I ricognitori sono più veloci, i grossi individui più lenti nella perlustrazione, la spesa energetica per l'operazione ricognizione è più alta negli individui adulti che se fossero sicuri di avere una preda davanti raggiungerebbero una maggior velocità di attacco rispetto ai giovani, in ragione di una maggior massa muscolare. In questo comportamento c'è un fondo di opportunismo.

Mi viene in mente lo schema di attacco di un branco di leoni: la cattura dipende dalle femmine più agili, veloci e coordinate, poi, a cose fatte, arriva il maschio a far valere il diritto del più grosso. E' come se i ricognitori avessero la funzione di creare scompiglio tra le prede, qualche ferito, poi gli adulti arrivassero dopo a saziarsi quando tutto è più facile.

Bisogna sempre ragionare in termini energetici e di utilità, nel valutare le strategie di attacco di un branco di animali, ragionare nei termini di rapporto spese -benefici.

La strategia di caccia vincente del pescatore subacqueo, in questo caso è aspettare pazientemente, se effettivamente il comportamento dei grossi individui non è condizionato da brutte esperienze recenti, prima o poi si avvicineranno.

Il branco di taglia omogenea: questa configurazione ha due moduli di esplorazione /attacco: o si presenta a ventaglio, o per ondate successive.

Nello schieramento a ventaglio il controllo del branco non viene eseguito da tutti gli individui nello stesso modo: molti, a un certo punto, si defilano, ciò potrebbe dipendere sia dalla variabilità individuale nella valutazione del pericolo, sia dalla differenza acustica percepita nelle differenti direzioni di avvicinamento. E' difficile per il sub valutare quale delle due ipotesi sia più credibile durante la permanenza all'aspetto. A volte l'intero branco vira da una direzione di avvicinamento che reputa non sicura per sceglierne un'altra la cui acustica risulta meno allertante, nel qual caso tutti gli individui si avvicinano con maggior decisione.

Nel caso di avvicinamento approssimativo a semicerchio, il pescatore subacqueo deve selezionare la preda in rapporto alla distanza: non si punta il più grosso ma quello più vicino. Quando il dentice arriva a qualificare la forma che emette quelle vibrazioni che lo avevano “incuriosito”, esaurisce l'impulso al controllo e fugge trascinandosi dietro tutti i compagni di branco. Seguire il più grosso nella fase di avvicinamento può rivelarsi un cattiva scelta, perché il più vicino fuggirà quando il più grosso non sarà ancora a tiro.

Nel caso si presentino per ondate successive, siamo invece nelle migliori condizioni di cattura: basta lasciar andare la prima ondata, quella più problematica in quanto può aver percepito qualche nostro piccolo spostamento durante la fase di perlustrazione visiva (testa destra -sinistra) ed è consigliabile aspettare l'ondata successiva, quella che ci troverà pronti, immobili, concentrati, occhi bassi (guardare verso il basso inclina i vetri della maschera ed evita i riflessi luminosi così allertanti per il dentice).

Ciò che voglio evidenziare è che in tutti i casi non abbiamo di fronte semplici automi ma individui pensanti con una loro cultura.

Certo, non si deve paragonare al pensiero complesso e articolato dell'essere umano, ma a mio parere, nel dentice è una elaborazione cosciente con una valutazione soggettiva coerente.

Il comportamento del dentice, in definitiva, è il risultato della interazione tra i modelli di comportamento istintivi e i modelli appresi in una sintesi creativa diversa tra i vari branchi nei quali rappresenta una prima forma di cultura.

Box 1:

L'istinto territoriale non è solo aggressivo:

Bisogna tener presente che il dentice caccia spesso in sinergia o in competizione con altri predatori, un rumore sul territorio colonizzato può essere anche quello di un altro predatore che sta finendo il suo pasto (per questo l'azione del sub di eclissarsi è così efficace). Per tutti i predatori la velocità di attacco o di controllo è vitale: arrivare troppo tardi fa sprecare energie inutilmente (tutto ciò può venire a nostro vantaggio in quanto il controllo può rivelarsi precipitoso, in questo caso, precipitosa sarà anche la fuga).

L'istinto territoriale però ha contemporaneamente una funzione di controllo: la gazzella di Thomson quando sente l'odore di un predatore gli si avvicina ad una certa distanza per studiarlo, per prevenire un attacco, si può interpretare questo schema di comportamento come l'esigenza di annullare l'effetto sorpresa (fatale per ogni preda).

Anche il branco di salpe, a volte, quando mi trovo in superficie mi viene incontro per controllarmi, in molti casi mi segue e mi accompagna nella direzione di nuoto.

Questo comportamento di vigilanza è seguito anche da altri pesci come i cefali e suggerisce un atteggiamento funzionale alla comprensione cosciente del pericolo, cui segue una particolare intelligenza animale nel valutare l'atteggiamento del predatore: intuiscono quando il predone ha fame, quando sta per attaccare, o quando è innocuo perché sazio o semplicemente disinteressato.

Il nuoto sincronizzato della preda con quello del predatore, spesso lo confonde e quasi mai il predatore attacca chi lo segue o lo controlla (forse è perché la preda ha già intuito che il predatore non attaccherà) .

Box 2 :

I branchi reclutati dai parchi marini e dalle AMP:

Il dentice, tra i pesci, è il primo che si accorge della diversità delle condizioni di vita dentro e fuori dai confini di un parco marino. Spostandosi molto all'interno dell'area colonizzata, come altri predatori, sperimenta subito la maggior tutela di cui godono i pesci dentro l'area protetta e vi si stabilisce (non ne esce più, riuscendo ad individuare attraverso esperienze successive addirittura i confini territoriali dell'area protetta).

Chi volesse osservare come un branco di dentici si comporta quando non è più insidiato dall'uomo, pescatore subacqueo, basta si immerga (ovviamente senza fucile) in un parco marino o in una AMP. In questa esperienza si prova l'emozione di assistere ai mulinelli “per noi ricordi di un tempo passato” che il branco effettuava subito intorno alla posizione del sub per stabilire il suo possesso del territorio rispetto all'intruso.

In sostanza, nelle aree protette riaffiorano i vecchi schemi di comportamento, sostituiti fuori da questi confini, da moduli di comportamento molto meno aggressivi e prevalentemente difensivi. Questa osservazione può sembrare una banalità ma rivela un apprendimento attraverso l'esperienza diretta ed un conseguente adattamento che poi resta nella memoria del dentice, rappresentando la nuova cultura di tutto il branco che ha condiviso tale esperienza.

Conclusioni

Un altro luogo comune che segue come commento la visione di un mio documentario di pesca: “Vorrei vedere Dapiran se riesce a prendere i pesci delle nostre parti con la stessa facilità che mostra nei suoi video”

Sicuramente, in altre zone dalla Sardegna da quella dove opero, non realizzo catture come mostro nei miei video, ma applico delle varianti alle mie strategie di pesca, con un adattamento attivo al comportamento delle prede.

Ciò che sfugge al pescatore che osserva superficialmente le mie scene di caccia, è che sono diverse una dall'altra, possono sembrare modelli simili di attacco ma ogni situazione ha qualcosa di diverso, un comportamento differente del pesce, condizioni ambientali dissimili dalle scene precedenti.

Questo è ancor più vero per la caccia al dentice che, come tutti i predatori, dimostra una intelligenza superiore, un adattamento più rapido e attivo alle condizioni ambientali di altri pesci.

Questo adattamento, ed è la mia tesi, giunge a sviluppare nei branchi di dentici vere e proprie culture autoctone.

Bibliografia

Michelangelo Bisconti “Le culture di altri animali”

Gay Marcus “La nascita della mente”

Donald R. Griffin “Menti animali”

Neil Shubin “Il pesce che c'è in noi”

Gli animali sociali che sviluppano una forma di cultura devono rispondere a tre requisiti: possedere memoria, disporre di capacità di comunicazione, aver rivelato una qualche creatività

Varie culture, vari comportamenti, varie tecniche di caccia.

Quando ho messo in commercio il primo video sull'aspetto dinamico al dentice, un bizzarro personaggio della pesca subacquea mi ha fatto subito pubblicità sul web raccontando di essersi fatto delle grasse risate guardando il video (che non aveva comprato) e che i dentici secondo lui non si catturavano affatto con le tecniche che avevo mostrato in quel video.

Non voglio in questo testo discutere dell'invidia che offusca la mente dei pescatori quando parlano dei colleghi, ma riconoscere una parte di veridicità di quanto affermato dal personaggio in questione.

Il documentario sull'aspetto dinamico al dentice, in verità, non voleva stabilire delle regole, degli schemi precostituiti su come condurre l'aspetto al dentice, ma mostrare come riuscivo a catturare questo predatore lungo le coste della mia isola. L'aggettivo “dinamico” aggiunto al termine “aspetto”, infatti, voleva esprimere l'adattamento al comportamento del dentice che il pescatore subacqueo deve adoperare quando insidia questo sparide.

Il lettore che ha seguito lo sviluppo della mia teoria fino a qui espressa, avrà già capito il concetto pregnante di tutta questa esposizione : ogni branco sviluppando una diversa cultura ha bisogno anche di una diversa tecnica di caccia da parte del subacqueo.

I moduli di comportamento

lo schema di caccia

Riguardo questo argomento porto solo due esempi (riferito ovviamente alle mie osservazioni) anche se la casistica in effetti sarebbe più ampia.

L'attacco di un branco di dentici di taglia eterogenea su un banco di pesci preda e il controllo territoriale che questo svolge intorno alla postazione del pescatore subacqueo risponde spesso allo stesso modulo: i giovani individui, i “ricognitori”, vanno in avanscoperta e il grosso del branco segue a distanza l'evoluzione della ricognizione.

E' per me difficile distinguere in questo comportamento un modulo cosciente

del branco, dalla semplice diffidenza degli individui adulti che lasciano i giovani inesperti andare avanti, anche se propendo per la strategia cosciente.

Perché gli adulti dovrebbero avventarsi dopo sulla preda, quando in tutti i predatori si saziano prima gli individui più grossi?

I ricognitori sono più veloci, i grossi individui più lenti nella perlustrazione, la spesa energetica per l'operazione ricognizione è più alta negli individui adulti che se fossero sicuri di avere una preda davanti raggiungerebbero una maggior velocità di attacco rispetto ai giovani, in ragione di una maggior massa muscolare. In questo comportamento c'è un fondo di opportunismo.

Mi viene in mente lo schema di attacco di un branco di leoni: la cattura dipende dalle femmine più agili, veloci e coordinate, poi, a cose fatte, arriva il maschio a far valere il diritto del più grosso. E' come se i ricognitori avessero la funzione di creare scompiglio tra le prede, qualche ferito, poi gli adulti arrivassero dopo a saziarsi quando tutto è più facile.

Bisogna sempre ragionare in termini energetici e di utilità, nel valutare le strategie di attacco di un branco di animali, ragionare nei termini di rapporto spese -benefici.

La strategia di caccia vincente del pescatore subacqueo, in questo caso è aspettare pazientemente, se effettivamente il comportamento dei grossi individui non è condizionato da brutte esperienze recenti, prima o poi si avvicineranno.

Il branco di taglia omogenea: questa configurazione ha due moduli di esplorazione /attacco: o si presenta a ventaglio, o per ondate successive.

Nello schieramento a ventaglio il controllo del branco non viene eseguito da tutti gli individui nello stesso modo: molti, a un certo punto, si defilano, ciò potrebbe dipendere sia dalla variabilità individuale nella valutazione del pericolo, sia dalla differenza acustica percepita nelle differenti direzioni di avvicinamento. E' difficile per il sub valutare quale delle due ipotesi sia più credibile durante la permanenza all'aspetto. A volte l'intero branco vira da una direzione di avvicinamento che reputa non sicura per sceglierne un'altra la cui acustica risulta meno allertante, nel qual caso tutti gli individui si avvicinano con maggior decisione.

Nel caso di avvicinamento approssimativo a semicerchio, il pescatore subacqueo deve selezionare la preda in rapporto alla distanza: non si punta il più grosso ma quello più vicino. Quando il dentice arriva a qualificare la forma che emette quelle vibrazioni che lo avevano “incuriosito”, esaurisce l'impulso al controllo e fugge trascinandosi dietro tutti i compagni di branco. Seguire il più grosso nella fase di avvicinamento può rivelarsi un cattiva scelta, perché il più vicino fuggirà quando il più grosso non sarà ancora a tiro.

Nel caso si presentino per ondate successive, siamo invece nelle migliori condizioni di cattura: basta lasciar andare la prima ondata, quella più problematica in quanto può aver percepito qualche nostro piccolo spostamento durante la fase di perlustrazione visiva (testa destra -sinistra) ed è consigliabile aspettare l'ondata successiva, quella che ci troverà pronti, immobili, concentrati, occhi bassi (guardare verso il basso inclina i vetri della maschera ed evita i riflessi luminosi così allertanti per il dentice).

Ciò che voglio evidenziare è che in tutti i casi non abbiamo di fronte semplici automi ma individui pensanti con una loro cultura.

Certo, non si deve paragonare al pensiero complesso e articolato dell'essere umano, ma a mio parere, nel dentice è una elaborazione cosciente con una valutazione soggettiva coerente.

Il comportamento del dentice, in definitiva, è il risultato della interazione tra i modelli di comportamento istintivi e i modelli appresi in una sintesi creativa diversa tra i vari branchi nei quali rappresenta una prima forma di cultura.

Box 1:

L'istinto territoriale non è solo aggressivo:

Bisogna tener presente che il dentice caccia spesso in sinergia o in competizione con altri predatori, un rumore sul territorio colonizzato può essere anche quello di un altro predatore che sta finendo il suo pasto (per questo l'azione del sub di eclissarsi è così efficace). Per tutti i predatori la velocità di attacco o di controllo è vitale: arrivare troppo tardi fa sprecare energie inutilmente (tutto ciò può venire a nostro vantaggio in quanto il controllo può rivelarsi precipitoso, in questo caso, precipitosa sarà anche la fuga).

L'istinto territoriale però ha contemporaneamente una funzione di controllo: la gazzella di Thomson quando sente l'odore di un predatore gli si avvicina ad una certa distanza per studiarlo, per prevenire un attacco, si può interpretare questo schema di comportamento come l'esigenza di annullare l'effetto sorpresa (fatale per ogni preda).

Anche il branco di salpe, a volte, quando mi trovo in superficie mi viene incontro per controllarmi, in molti casi mi segue e mi accompagna nella direzione di nuoto.

Questo comportamento di vigilanza è seguito anche da altri pesci come i cefali e suggerisce un atteggiamento funzionale alla comprensione cosciente del pericolo, cui segue una particolare intelligenza animale nel valutare l'atteggiamento del predatore: intuiscono quando il predone ha fame, quando sta per attaccare, o quando è innocuo perché sazio o semplicemente disinteressato.

Il nuoto sincronizzato della preda con quello del predatore, spesso lo confonde e quasi mai il predatore attacca chi lo segue o lo controlla (forse è perché la preda ha già intuito che il predatore non attaccherà) .

Box 2 :

I branchi reclutati dai parchi marini e dalle AMP:

Il dentice, tra i pesci, è il primo che si accorge della diversità delle condizioni di vita dentro e fuori dai confini di un parco marino. Spostandosi molto all'interno dell'area colonizzata, come altri predatori, sperimenta subito la maggior tutela di cui godono i pesci dentro l'area protetta e vi si stabilisce (non ne esce più, riuscendo ad individuare attraverso esperienze successive addirittura i confini territoriali dell'area protetta).

Chi volesse osservare come un branco di dentici si comporta quando non è più insidiato dall'uomo, pescatore subacqueo, basta si immerga (ovviamente senza fucile) in un parco marino o in una AMP. In questa esperienza si prova l'emozione di assistere ai mulinelli “per noi ricordi di un tempo passato” che il branco effettuava subito intorno alla posizione del sub per stabilire il suo possesso del territorio rispetto all'intruso.

In sostanza, nelle aree protette riaffiorano i vecchi schemi di comportamento, sostituiti fuori da questi confini, da moduli di comportamento molto meno aggressivi e prevalentemente difensivi. Questa osservazione può sembrare una banalità ma rivela un apprendimento attraverso l'esperienza diretta ed un conseguente adattamento che poi resta nella memoria del dentice, rappresentando la nuova cultura di tutto il branco che ha condiviso tale esperienza.

Conclusioni

Un altro luogo comune che segue come commento la visione di un mio documentario di pesca: “Vorrei vedere Dapiran se riesce a prendere i pesci delle nostre parti con la stessa facilità che mostra nei suoi video”

Sicuramente, in altre zone dalla Sardegna da quella dove opero, non realizzo catture come mostro nei miei video, ma applico delle varianti alle mie strategie di pesca, con un adattamento attivo al comportamento delle prede.

Ciò che sfugge al pescatore che osserva superficialmente le mie scene di caccia, è che sono diverse una dall'altra, possono sembrare modelli simili di attacco ma ogni situazione ha qualcosa di diverso, un comportamento differente del pesce, condizioni ambientali dissimili dalle scene precedenti.

Questo è ancor più vero per la caccia al dentice che, come tutti i predatori, dimostra una intelligenza superiore, un adattamento più rapido e attivo alle condizioni ambientali di altri pesci.

Questo adattamento, ed è la mia tesi, giunge a sviluppare nei branchi di dentici vere e proprie culture autoctone.

Bibliografia

Michelangelo Bisconti “Le culture di altri animali”

Gay Marcus “La nascita della mente”

Donald R. Griffin “Menti animali”

Neil Shubin “Il pesce che c'è in noi”

Gli animali sociali che sviluppano una forma di cultura devono rispondere a tre requisiti: possedere memoria, disporre di capacità di comunicazione, aver rivelato una qualche creatività