n. 10 - Chi siamo - La storia del Panda

Chi Siamo #10
La storia del Panda
Il Panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) preso a simbolo nella difesa
dell’ambiente ha perso l’antica indole diventando un animale mite, la sua
evoluzione in vegetariano che si nutre solo di bambù porta a fare alcune
riflessioni sul nostro futuro di onnivori.
Studiosi dell’Istituto di genomica cinese a Shenzhen hanno sequenziato il
genoma del Panda gigante che, posto dalla tassonomia tra i carnivori (famiglia
degli ursidi), in realtà vive nelle foreste di bambù della Cina del sud ovest
(regione del Sichuan) con abitudini agli antipodi degli altri componenti della
sua famiglia.
Il panda preso in esame dagli esperti è Jingjing, la femmina di tre anni che ha
posato come mascotte delle olimpiadi di Pechino 2008. Nei suoi cromosomi
non è stato trovato il gene che sintetizza l’enzima cellulasi
indispensabile per digerire la cellulosa contenuta nel bambù.
Wang Jun, lo scienziato che ha diretto il sequenziamento del DNA di Jingjing
sostiene:
“Il panda, forse, ha imparato ad assimilare le sostanze vegetali grazie ai batteri
contenuti nel suo tratto digerente, senza dover ricorrere agli enzimi”.
Il gene caratteristico dei carnivori rimasto a lungo inutilizzato in questo urside
che viveva nelle sconfinate foreste di bambù della Cina è diventato recessivo
nel corso dei millenni.
Il gene è un frammento di DNA che caratterizza un animale, quello dei
carnivori sviluppa sulla lingua un recettore specifico che rende gradevole il
sapore della carne e di altri cibi di provenienza animale come i formaggi (il mio
gatto ad esempio è ghiotto di formaggio!).
Nel Panda questo recettore non c’è più ed ogni cibo con alto contenuto proteico
è diventato insipido.
Non si capisce se questa metamorfosi genetica sia avvenuta per la carenza di
proteine a quattro zampe di cui cibarsi ed essendoci invece abbondanza di
germogli di bambù, o se questa si sia instaurata in ragione di qualche
avvenimento epocale che non conosciamo.
Il meccanismo evolutivo è frutto di una interazione con l’ambiente, ma per
molti versi è ancora sconosciuto perdendosi nel lontano passato.
Facendo un confronto tra i geni, il cane e il panda condividono l’80% del DNA
mentre con l’uomo condivide solo il 68 %.
Il suo DNA è composto da 21 cromosomi e 20.000 geni (un terzo meno
dell’uomo)
Il suo genoma evolve molto lentamente , molto meno di quello dell’uomo e
del cane ed è considerato dagli scienziati un “fossile vivente”, come il
celacanto, pesce primitivo di cui è stato catturato qualche esemplare nel
Pacifico.
Ne esistono 2000 circa il libertà nella Cina e 150 nei vari zoo del mondo, a
livello adulto consuma approssimativamente 38 kg di germogli di bambù ed ha
un tasso di natalità molto basso, la femmina alleva solo un piccolo alla volta e
il periodo riproduttivo dura da una a tre settimane l’anno.
Il panda è nato circa tre milioni di anni fa, come forse il nostro antenato Homo
habilis
Andare contro la propria natura genetica però è costato caro al panda: una
dieta troppo selettiva e uno scarso interesse per il sesso lo ha portato sull’orlo
dell’estinzione.
Se avesse mantenuto le sue abitudini carnivore, probabilmente, avrebbe risolto
il problema della sopravvivenza e soprattutto del cibo, vista la forte riduzione
delle foreste di bambù per la pressione degli agricoltori cinesi che disboscano
per aumentare il terreno coltivato.
La morale di questa storia: l’ambiente e la cultura possono modificare le
abitudini ed i comportamenti, ma ribellarsi ai propri geni ha un prezzo molto
caro che può portare all’estinzione.
La cultura animalista sta convincendo molti uomini a diventare vegetariani , in
alcuni casi addirittura veghiani. Non è escluso che nel futuro per problemi di
costi si produrrà più cibo vegetale che carne. Un chilo di carne costa molto di
più in termini energetici, di acqua e di altre proteine, rispetto ad un chilo di
“verdura”. C’è la tentazione di sfamare il mondo con i vegetali integrando il
fabbisogno di proteine con prodotti chimici.
E’ un processo culturale iniziato tanti anni fa con i primi agricoltori e con la
trasformazione della società tribale dei cacciatori nomadi, in quella stabile dei
grossi centri urbani degli agricoltori che può trovare oggi una ulteriore
motivazione economica.
Trovo in questa deriva una analogia preoccupante con la storia del panda che
ho appena raccontato.